Come molti dei nostri lettori sapranno, nella tragedia dell’11 Settembre 2001, tra 112 vittime della follia omicida dei terroristi islamici, ha perso la vita un membro di primo piano della comunità high-tech americana. Si trattava di Daniel Lewin, cofondatore e chief technical officer di Akamai, una delle più note imprese specializzate nella fornitura di banda e strettamente legata ad Apple che utilizza i suo servizi di streaming e nella quale ha investito molti milioni di dollari.
Da qualche giorno la morte di Lewin, oltre che essere un fatto tragico, si anche tinge di giallo. Un alone di mistero avvolge la morte del trentaduenne magnate di avvenuta, a quanto pare, prima dell’impatto del volo dell’American Airlines contro la torre nord del World Trade Center del volo American Airline 11.
In seguito alle indagini dei Servizi Segreti internazionali, il top manager di Akamai, ex ricercatore del MIT di Boston, ed esperto informatico, nascondeva un passato di una unità d’elite dell’esercito isreaeliano, sullo stile delle SAS americane, denominata Sayeret Mat’kal, la stessa in cui ha compiuto il suo servizio militare l’ex premier Istraeliano Bejamin Netanyahu. Il Sayeret Mat’kal ha l’incarico di compiere operazioni pericolose e difficili come il salvataggio di passeggeri a bordo di aerei dirottati e spesso viene impiegato n operazioni antiterrorismo
Il CEO di Akamai George Conrades descrive Lewin come una persona affabile, gentile e cordiale, ma dietro quel sorriso rassicurante si nascondeva una “macchina da guerra alto un metro e ottanta centimetri per cento chili di muscoli, un uomo atletico, potente, addestrato alle situazioni di pericolo e devastante nel corpo a corpo.
La prestanza fisica e l’esperienza di Daniel Lewin mettono in crisi la teoria proposta dalla Faa, l’ente di controllo dell’aviazione americana. Secondo le versioni ufficiali, il “top manager 007” viaggiava al posto 9b della business class del volo American Airlines numero 11. Al posto 10b invece era seduto uno degli attentatori, il saudita Satam Al Suqami. Lewin, accortosi del tentativo di dirottamento ha prontamente reagito attaccando Al Suqami, che, stando alle dichiarazioni ufficiali, lo ha ucciso in pochi secondi con un tagliacarte.
Balza subito agli occhi una certa incongruenza tra le dichiarazioni ufficiali. Sembra inverosimile che un “mastino” come Lewin non riesca a disarmare e neutralizzare l’aggressore armato di un tagliabalsa. Ma queste vane congetture acquistano credibilità se si analizza la trascrizione preliminare della comunicazione di una delle hostess del volo 11 alla torre di controllo di Logan: “«Il passeggero del posto 10B in business class ha sparato a quello del posto 9B. E’ in corso un dirottamento. Un altro passeggero è stato sgozzato. Quasi certamente è morto»”. Questa trascrizione però è stata smentita dopo pochi giorni dalla tragedia e “riveduta e corretta” in una versione ufficiale che smentisce la presenza a bordo di armi da fuoco.
Secondo gli ex colleghi di Lewin, solo un arma da fuoco lo avrebbe neutralizzato in pochi secondi e non un corpo a corpo con un dirottatore armato di tagliabalsa. E’ facile intuire le motivazioni della versione ufficiale. Ammettere la presenza di un’arma da fuoco a bordo del volo 11 American Airlines metterebbe in discussione tutto il sistema di prevenzione e di sorveglianza del traffico aereo statunitense oltre che disastrose cause di risarcimento per negligenza da parte dei familiari delle vittime. E’ difficile sperare che questo alone di mistero e di reticenze venga spazzato a breve termine.
In polinesiano “Akamai” significa “intelligenza”, qualità che certo non mancava a Daniel Lewin, insospettabile agente segreto ed al contempo grande manager ed genio informatico. Poco prima che morisse, una rivista di settore l’aveva incluso nella lista dei primi dieci innovatori: subito dopo Steve Ballmer, presidente di Microsoft. Lewin ha lasciato due figli ed una moglie. La nostra speranza è che quanto prima la verità sulle sorti di Lewin e su ciò che accadde in volo quel terribile 11 Settembre li aiuti a sopportare il dolore per una perdita incolmabile.