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Apple: “Dalai Lama censurato? Rispettiamo le leggi cinesi”

Apple censura il Dalai Lama. Lo fa seguendo le leggi del paese nel quale ha aperto il suo negozio di applicazioni per l’iPhone distribuito in Cina da Unicom. Lo raccontavamo lo scorso 30 gennaio, quando la notizia è emersa, e adesso – dopo che se n’è accorta anche la stampa internazionale – arrivano alcune precisazioni dell’azienda di Cupertino.

Innanzitutto il fatto che Apple non faccia altro che “obbedire alle leggi locali” dei suoi negozi e di dove vengano commercializzati i suoi prodotti. Questo perlomeno ha dichiarato poche ore fa Trudy Miller, portavoce dell’azienda al quartier generale di Apple a Cupertino. “Per questo – ha proseguito – non tutte le applicazioni non sono disponibili in tutto il mondo”.

La Cina da tempo ha realizzato quel che la stampa occidentale ha chiamato “il Grande Firewall cinese”, il blocco tecnologico che impedisce la navigazione verso vari siti e che molte aziende tra cui Yahoo e Google hanno sempre acconsentito a fare in modo che anche all’interno dei loro motori di ricerca non fosse possibile trovare risultati “politicamente scorretti”. Oltre a queste, anche Cisco e Microsoft si sono sempre regolate di conseguenza, fornendo prodotti sia adattati al mercato locale che fornendo un accesso alle loro tecnologie che verrebbe giudicato inappropriato dalle associazioni di consumatori in occidente e probabilmente porterebbe a class action piuttosto inferocite.

La Cina, com’è noto, accusa il Dalai Lama di cercare di sovvertire il governo di Pechino costituendo un Tibet indipendente. L’esilio del leader politico e spirituale del Tibet, una regione straordinariamente arretrata oltre che arroccata sul più alto plateau di montagne al mondo, è uno dei “bubboni” della politica internazionale e il rispetto dei diritti umani da parte della Cina una delle tematiche ricorrenti in tutti i vertici internazionali quando leader di vari paesi (tra cui gli Usa, l’Unione europea e l’Italia stessa) incontrano senza protestare o sollevare il problema i leader cinesi. Ma non è l’unico punto caldo: la Cina blocca anche una serie di altri dissidenti del regime, oltre a minoranze e forze regionali tra i quali le minoranze islamiche del Paese.

Sarebbe interessante a questo punto poter vedere più nel dettaglio quali sono le “mancanze” dall’App store imputabili direttamente ad Apple come ha segnalato IDG: quante delle cinque applicazioni finora notate sono state insomma rifiutate dall’azienda in ottemperanza alle leggi cinesi e quante invece non sono state registrate dagli sviluppatori. Reporter senza Frontiere avrebbe protestato per il comportamento di Apple così come in passato ha protestato con maggiore o minore intensità  alle altre situazioni di censura legale da parte della Cina.

La cosa più singolare però è un’altra: che si scandalizzino gli italiani, abitanti di uno dei paesi che ha più volte proposto di censurare pezzi di Internet (a partire dai siti come PirateBay sino a quelli che predicano una visione differente da quella ortodossa); oppure che si scandalizzino (e infatti non lo fanno) gli statunitensi, coinvolti loro malgrado nella sanguinosa e complessa lotta al terrorismo internazionale dall’11 settembre 2001, con un occhio sempre vispo su quel che accade in rete. Ovviamente non tutto si può paragonare, soprattutto perché la vita sotto il governo di Pechino non è per niente quella di una democrazia occidentale, ma per onestà  intellettuale il dubbio sorge lo stesso.

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