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C’è vita oltre la vita per i nostri dati?

La storia arriva da Wixom, nel Michigan. Il caporale Justin Ellsworth, vent’anni, è morto in Iraq lo scorso 13 novembre. E adesso la sua famiglia sta combattendo una battaglia legale con Yahoo! per aver accesso alle sue email e ai suoi file conservati online dal servizio di posta elettronica. Ma con poche speranza di successo.

Da un lato, infatti, l’ansia dei genitori che cercano di rientrare in possesso delle carte del loro figlio prematuramente scomparso, anche di quelle virtuali. Dall’altra, la politica di Yahoo! (analoga anche a molti altri providers) per cui solo il titolare della password può accedere ai suoi dati e – se per 90 giorni questi non accede alla sua casella di posta – il suo contenuto e l’account si volatilizza in una nuvoletta di byte.

E’ un problema serio, questo, perché la nostra vita sta cambiando in maniera radicale e molto velocemente. A tal punto che si cerca anche dare risposte di sicurezza, però forse inadeguate. Tanti dati che riguardano la nostra vita, le nostre relazioni, gusti, informazioni di vario genere, divengono sempre più spesso digitali e vengono conservate o sul nostro computer oppure su servizi online come quello in questione di Yahoo!.

Insomma, la questione è semplice: c’è vita oltre la (nostra) vita per i nostri dati? Persone famose purtroppo prematuramente scomparse hanno visto mantenere le proprie identità  digitali online. Forse non tutte, perlomeno quelle pubbliche. E’ il caso ad esempio dell’umorista britannico Douglas Adams, l’autore della Guida galattica per gli autostoppisti (da cui stanno per trarre un film), prematuramente scomparso a causa di un infarto. I suoi siti e il suo lavoro online – dato che Adams oltre che un appassionato utente Mac è stato anche un attento osservatore della prima Internet pubblica – sono preservati, mentre dagli hard disk dei suoi computer è stato tratto abbastanza materiale per mettere insieme un ultimo libro, Il Salmone del dubbio. Ma per gli altri? Per le persone normali?

Non c’è una risposta e neanche, cosa ancora più grave, una normativa. Ma non c’è da dubitare che tra non molto tempo la legislazione sulle successioni prenderà  in considerazione anche questo tipo di asset, anche quando non costituiscono un elemento patrimoniale tangibile. La posta elettronica e l’accesso all’account del caro estinto potrebbe essere diritto degli eredi, così come la possibilità  di ereditare e subentrare nelle varie posizioni digitali. Certo, alcune (quelle legate all’identità  della persona scomparsa) saranno destinate a spegnersi insieme all’esistenza del titolare. Ad esempio la possibilità  con i certificati digitali di firmare in nome dell’estinto la corrispondenza. Però, dato che il certificato serve per poter decrittare ad esempio la posta già  inviata e nelle disponibilità  dell’estinto, si dovrà  trovare il modo di far sopravvivere questa funzionalità  del certificato a beneficio degli eredi legittimi o designati.

Anche le policy di sicurezza, per rimanere in un ambito maggiormente pratico e tecnologico, che proprio adesso stanno vedendo un dispiegarsi nella società  (pensiamo alle problematiche dell’autenticazione digitale magari biometrica) dovranno prendere e tenere in considerazione questo aspetto. Altrimenti il rischio sarà  la paralisi ad esempio di piccole attività  lavorative, il rischio di mettere in crisi i congiunti (magari perché i codici di un conto corrente familiare sono conservati su un computer con hard disk crittato e la cui password è legata a fattori biometrici non replicabili neanche con l’esplicito assenso dato ai congiunti), il rischio di mettere in crisi un consolidato modo di pensare alle nostre relazioni e al modo in cui trattiamo le informazioni.

Perché è poi di questo che parliamo: siamo la prima generazione, nel suo complesso, che sta assistendo a questa rapidissima rivoluzione che ha portato un Pc in casa e uno al lavoro di ciascuno nel giro di meno di dieci anni, e da meno di cinque lo ha trasformato in uno strumento di comunicazione digitale e multimediale. Non abbiamo sviluppato – né riflettuto – sulle conseguenze di tutto ciò pensando, con il pragmatismo tutto americano che caratterizza queste tecnologie e strategie, che le risposte arriveranno col tempo. Noi europei, però, possiamo aggiungere anche un “chi vivrà  vedrà ” sottintendendo che bisogna prestare anche attenzione a chi non vivrà  e ai suoi congiunti. Perché se sono nuove le modalità  con cui ci relazioniamo alle informazioni, sono anche nuovi i modi con i quali queste informazioni devono poter sopravvivere, se lo vogliamo, a ciascuno di noi. Così è sempre stato e questo è uno dei cardini, delle colonne sulle quali poggia la nostra cultura e la nostra identità .

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