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Google: il vero segreto del suo successo è nel codice

All’inizio della storia dell’informatica, quello che è stato dichiarato dai portavoce di Google sarebbe stata un’eresia bella e buona. E, per chi sia appassionato di storia del computer, in realtà  è una di quelle dichiarazioni storiche che rappresentano un cambiamento epocale, la controprova firmata che il mondo è completamente diverso da come è stato creato. Vediamo di capirci qualcosa di più, mettendo la storia nel giusto contesto.

Google dichiara: non importa quali server abbiamo, non importa che siano super-affidabili. Perché siamo noi che scriviamo il software perfetto, in grado di compensare qualunque manchevolezza dell’hardware. Capito? Google si scrive il suo software e non ha bisogno di avere macchine che siano la fine del mondo.

Allarghiamo la prospettiva. Oggi Google è il prototipo di azienda della new economy, il campione della Silicon Valley, l’azienda più “cool” e “high-tech” che si possa immaginare. Ma è anche un’azienda molto diversa, in realtà , da quello che si possa immaginare. Investe costantemente sull’hardware e gli accessori – come le centinaia di chilometri di fibra ottica sottoutilizzata che sta comprando in tutto il mondo, la cosiddetta “dark fiber” – e collabora addirittura con la Nasa alla realizzazione di un ennesimo datacenter da mille e una notte. Google non è chiaro cosa venda (ricerche? pubblicità ? servizi?), di sicuro lo vende tutto in rete e quindi cioè di cui ha bisogno sono connessioni, hardware e storage, cioè spazio per l’archiviazione.

Nonostante produca anche dei piccoli server per la ricerca – adatti alle imprese o ai liberi professionisti – Google di certo non costruisce hardware, tantomeno quello che usa lei. Anzi, si fa vanto di utilizzare server assolutamente “normali”, solo in gran numero, con particolari distribuzioni di Linux e una complessa rete di sistemi di archiviazione. Ok, quindi Google non costruisce il suo bene strumentale più prezioso, cioè i computer che usa. Li compra. E li compra non di straordinaria qualità , tipo i supercomputer vettoriali su misura da 1 miliardo di dollari l’uno o cose del genere. Niente hardware e cervelloni che nessuno si potrebbe permettere. Perché secondo Google, questo è implicito, la sua ricchezza è l’intelligenza e l’altissima specializzazione dei suoi dipendenti.

La maggior parte delle persone che lavorano da Google è attratta non solo dall’ambiente, dal prestigio o dagli alti stipendi e dalla possibilità  di lavorare anche a progetti propri nel 20% del tempo in cui si viene pagati: Google raccoglie anche un quantitativo straordinariamente alto di persone con un dottorato di ricerca, gente con lauree e specializzazioni toste, cervelli e giovani geni in grado di avere idee brillanti o di effettuare operazioni che richiederebbero il lavoro di decine e decine di programmatori meno brillanti per essere fatti.

Questo perché Google crede nella supremazia del software sull’hardware, della rete sul computer, del servizio sull’applicazione. Insomma, Google è il mondo a testa in giù dal punto di vista di chi scommette nell’integrazione macchina-software, come Ibm, Microsoft e la stessa Apple fanno. A prescindere che i guadagni di Ibm vengano da hardware e servizi, quelli di Microsoft dal software e quelli di Apple dall’hardware (i servizi, musica o software che siano, sono un di più per vendere hardware, Mac o iPod che sia), il modello in realtà  è simile ed è legato alla concezione dell’informatica in cui l’hardware gioca un ruolo centrale, direttamente (Ibm e Apple) o indirettamente (Microsoft).

Google no. Google crede nel software, nel suo software, il più chiuso e proprietario del pianeta, tra l’altro, perché se sono aperti i linguaggi con i quali vengono realizzate tutte le cose di Google (le distribuzioni di Linux, i linguaggi di programmazione) e sono aperte le interfacce di programmazione (API) per l’integrazione – parziale – con il resto del mondo, in realtà  il codice sorgente delle applicazioni che girano sui server di Google e che fanno arrivare le risposte alle ricerche, oppure la posta elettronica, i blog, i calendari etc, sono gelosamente conservate nei dischi rigidi di Mountain View e basta.

E’ talmente centrata sul software e sulla rete la visione di Google, talmente convinta che il valore non sia più nell’hardware, diventata una commodity, un bene che si vende un tanto al chilo come le patate o il succo di frutta, che arrivano a dire per bocca di Urs Holzie, a capo della divisione dell’azienda di stanza a Dublino, che l’hardware non è importante, perché col software ci si può mettere una pezza sopra, farlo veramente funzionare.

In questo modo Google è libero dal ricatto di qualsiasi fornitore: compra Pentium? Opteron? UltraSpar? Cell? E’ uguale, tanto il software è la cosa che conta e lo facciamo noi. Noi Google possediamo le intelligenze e le competenze per essere indipendenti e autonomi nell’unico settore critico del business – quale che sia – in cui l’azienda di Mountain View domina. E’ una rivoluzione rispetto a come è stata pensata l’informatica e il suo business finora. Un capovolgimento dei modelli teorici e industriali di riferimento. Qualcosa che non si era mai visto prima su questa scala. Il vero segreto del successo di Google…

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