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Ibm: mai sottovalutare la “variabile” Steve Jobs

Come prevedibile, Internet si sta riempiendo di analisi e commenti, di dietrologie e di meditazioni sul perché e sul percome di una scelta – passare a Intel – che i fan di lunga data della casa della Mela fanno fatica a digerire.

Ma proprio alcuni di questi fan, e segnatamente uno dei maggiori esperti americani tra i giornalisti tecnologici, John Siracusa, avanzano anche una motivazione complementare non irrilevante e non totalmente logica: l’orgoglio di Steve Jobs.

Se Apple è una azienda che non produce i suoi microprocessori, deve sempre necessariamente avere una partnership forte con chi dei microprocessori ha fatto il suo business. Il legame con Motorola, adesso Freescale, è divenuto debole da molto tempo. Probabilmente d quando Steve Jobs è tornato e ha “ucciso” i cloni, nel 1997, chiudendo un potenziale mercato a cui Motorola direttamente e indirettamente voleva partecipare.

Poi il ruolo del paladino è stato quello di Ibm – che non ci dimentichiamo era il Grande Fratello dello spot “1984” di quindici anni prima – e dei suoi processori a 32 e 64 bit. Ma prima ancora che la scelta di andare verso una architettura – Cell – tecnologicamente vicina ma non direttamente incompatibile con i PowerPC e destinata a fare volumi sempre più grandi, dato che è stata scelta da Playstation3, di Sony e la notizia che Xobx 360 e Revolution di Nintendo useranno PowerPC (congelando di fatto per Ibm il desiderio di “correre” nello sviluppo della Cpu, dato che nel mercato delle console di norma si mantengono le medesime caratteristiche dell’hardware per tutto il ciclo di vita dell’apparecchio, pari a quattro anni in media), c’è un altro motivo dietro all’ira fredda di Steve Jobs.

La scelta di Ibm è la scelta di non dare più ascolto in prima battuta alle esigenze di Apple, cioè di offrire Cpu disegnate per altri scopi e offrirle in tempi non strategici per Apple. Poco male, anche se frustrante. Il grande errore, secondo Siracusa, è stato un altro: far perdere la faccia a Steve Jobs.

Il Ceo di Apple, notoriamente orgoglioso e con un carattere definito da molti “abbastanza permaloso e iracondo”, due anni e mezze fa era salito sul palco del Moscone Center di San Francisco – durante il MacWorld – annunciando che per l’estate sarebbe arrivato un processore G5 da 3 Ghz. Come mai? Sicuramente perché gli uomini di Ibm avevano garantito, giurando sulle teste di chissà  chi, che sarebbe successo. Adesso, due anni dopo, di quel processore fantomatico non si è ancora vista traccia. Ma chi conosce Steve Jobs è sicuro che non abbia dimenticato l’affronto e che dietro la “svolta Intel” ci sia anche la sua sottile, fredda vendetta…

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