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Spam, la fine del mondo digitale come lo conosciamo

In Germania sono alla frutta. L’Università  di Braunschweig ha capitolato e deciso di staccare i filtri anti-spam installati da poco tempo. Motivo? I 20 server dedicati non riescono a processare tutta la mail che arriva. Il 98% è spam e la legge tedesca prevede che la posta debba essere consegnata in ogni caso. Lì i ritardi sono in media di cinque giorni, un tempo inconcepibile per l’email. Il risultato, simile a quello che è successo al governo federale tedesco, è di mollare e lasciare passare jumk mail e posta lecita. Tutto insieme, senza filtri.

Negli Usa la lotta allo spam procede a ritmo di annunci serrati. C’è chi propone (come Microsoft) sistemi fantascientifici di autenticazione della mail, chi meccanismi di ricerca degli spammer, chi, ancora, di instaurare tasse sull’email simili al francobollo. La chiocciolina, sono tutti d’accordo, non ce la fa più a reggere il peso di pubblicità , virus, errori nella gestione di client e server utilizzati per la trasmissione dei dati e via dicendo.

Cambiamo scena, andiamo a Milano, una mattina qualunque della scorsa settimana. Al dipartimento di Informatica e Comunicazione dell’Università  Statale c’è un ospite particolare. Gary Chapman, tecnologo e studioso delle comunità  online, oltre che creatore di una delle più interessanti realtà  del mondo in questo settore (Free-Net), ad Austin in Texas. Un programma finanziato con 60 milioni di dollari che sta producendo risultati per ridurre il digital divide e creare una società  elettronica più allargata nello stato della stella solitaria.

Chapman, che è anche direttore del 21st Century Project e studioso di fama mondiale, è per quest’anno presidente del comitato che assegna l’Alan Turing Award, il Nobel per le scienze informatiche (quest’anno, annuncia en passant, lo vincerà  Alan Kay, uno dei personaggi chiave della storia dell’informatica) oltre che opinionista del Los Angeles Times e dell’Austin American-Statesman. E’ da sempre, inoltre, un utente Mac convinto.

Quello che Chapman dice a margine della conferenza lascia un segno che vale molto più dei proclami di Bill Gates e di tanti guru e futurologi del settore. “L’Rss, una variante dell’Xml utilizzata per informare dell’aggiornamento di un contenuto online, ha buone possibilità  di diventare l’email del futuro”.

L’idea presentata da Chapman è che questo servizio, utilizzato da siti e weblogs per far sapere ai propri lettori che le pagine sono state modificate e dar loro una sintesi del contenuto dei nuovi post (leggibili sul Mac con l’ottimo NetNewsWire) possa diventare una alternativa completamente differente dal punto di vista dell’architettura alla posta elettronica.

Perché? Perché se l’informatica è fatta di metafore, la tecnologia che sta dietro alle email (e che noi pensiamo con la metafora della posta elettronica) si è “guasta”. Contiene una serie di insicurezze non risolvibili se non al prezzo di una complicazione assoluta del sistema. Allora, meglio passare a qualcosa di differente che, se pur rappresentato con una metafora diversa (il feed Rss è visto come un sistema per far broadcast di contenuti) possa trasformarsi in una alternativa percorribile alla posta elettronica.

Secondo Chapman, come secondo molti altri, bisogna trovare una via differente per gestire la comunicazione elettronica tra le persone. E bisogna farlo presto, perché la rete, l’email, Internet come la conosciamo diventa ogni giorni più ingestibile. Però l’abitudine di Chapman (che non è un ingegnere ma un umanista “prestato” alla tecnologia) a trattare con le comunità  gli ha permesso di avere uno sguardo più indipendente e ampio di chi cerca di vendere tecnologie e prodotti travestendosi da innovatore.

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