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Google diventa verbo. Ufficialmente…

C’è un paradosso odioso nel successo, soprattutto in quest’epoca in cui se fosse possibile le grandi aziende registrerebbero anche l’aria che respirano i suoi manager (per non farla copiare agli altri). Quella di diventare talmente popolari da essere accettati come un termine in uso nella lingua, e come tale diventare meno tutelabili da parte della concorrenza.

Avete presente Ferodo, oppure Xerox, persino Walkman? Certo, sono tutte parole di uso comune (anche iPod, con mille grafie spesso sbagliate), ma dietro c’è di più. Sono anche parole entrate nel lessico comune, registrate negli autorevoli dizionari, quelli che da noi passano attraverso la fiorentina Accademia della Crusca, incaricata come gli omologhi in altri paesi – più o meno ufficialmente – di vigilare sul corpus vivente di una lingua.

E quando il vergo “To google”, cercare sulla rete, diventa effettivamente di uso comune, si aprono strade oscure per le aziende che ne detengono i diritti. Come contrappasso del troppo successo, infatti, si rischia che nascano siti intitolati all’azione, non al sostantivo e nome proprio. Quindi, siti che ti fanno “googlare” e che non possono essere perseguiti da nessuno, perché utilizzano il verbo registrato nell’autorevole dizionario della lingua. E un sito simile distoglie i navigatori, li attrae su altre piste, abbassa il valore digitale, fa diminuire gli introiti: insomma, ci siamo capiti, alle aziende non piace

Lo spauracchio adesso agita i sonni multimiliardari di Sergey Brin e Larry Page, visto che la loro creatura con costoso quartier generale a Mountain View adesso è diventato ufficialmente un verbo in uso nella lingua inglese. E dopo questo, chissà  cos’altro potrà  succedere. Il troppo stroppia, e l’inflazione del successo può portare a pericolosi paradossi. In un secolo in cui l’immagine conta tanto quanto la sostanza, il nome registrato sul dizionario è pericoloso. La rosa avrebbe lo stesso profumo se si chiamasse in altro modo, certo, ma nessuno può pensare di brevettarne il nome comune però. E qui, cominciano i problemi per i latini e anche per Shakespeare…

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