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La Francia ha vietato l’obsolescenza programmata dell’elettronica

Con una mossa che solleva alcune perplessità anche da parte delle associazioni che proteggono l’ambiente, soprattutto per la “vaghezza” delle definizioni, il governo francese ha varato una legge che segna una tappa storica in Europa e nel mondo. All’interno di una normativa sull’efficienza energetica, infatti, è stato inserito un emendamento che introduce una novità assoluta e cambia da un punto di vista sociale il senso stesso della normativa. “Pianificare a tavolino la decadenza dei prodotti al fine di aumentarne il mercato è reato”.

Un reato che viene anche sanzionato con due anni di carcere e 300mila euro di multa per chi dovesse violare la normativa. Il vero problema però è identificare in concreto i casi nei quali si possa parlare di violazione di questa norma. Chi effettivamente ha pianificato che un determinato apparecchio diventi obsoleto (cioè funzionante ma non più “attuale”) in un determinato arco di tempo? E cosa vuol dire in concreto “obsoleto”, oppure entro quanto tempo è accettabile che questa obsolescenza si manifesti?

Il tema da cui parte il legislatore francese è sicuramente importante e attuale: con l’arrivo della Internet of Things aumenterà in maniera esponenziale il numero di piccoli e piccolissimi apparecchi connessi, sensori e altri tipi di beacon che permetteranno di creare una rete senza fili di informazioni. Il cambiamento tecnologico già di per sé potrebbe avere un vastissimo impatto per quanto riguarda il bisogno di cambiare il “parco macchine” per molti utenti di elettrodomestici, computer, strumenti di mobilità, intelligenza delle auto e tutto il resto.

A questo si aggiunge però anche la progressiva crescita delle persone che arrivano a connettersi a Internet anche fuori dell’Europa e degli Stati Uniti. I paesi emergenti, paesi poveri ma in cui le nuove tecnologie (soprattutto quelle in mobilità) offrono comunque un modo accessibile per collegarsi ad esempio a servizi di eHealth e di eBanking. In tutto questo, nel moltiplicarsi esponenziale dei gadget elettronici, da tempo i gruppi ambientalisti sono diventati molto “rumorosi” e hanno ottenuto ad esempio che aziende come Apple assumessero un comportamento sempre più “virtuoso” per quanto concerne sia l’utilizzo di materiali sempre meno inquinanti, che lo smaltimento delle scorie e rifiuti, sia infine per l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nell’alimentazione delle sedi, degli impianti produttivi e nei data center del cloud.

Il fronte dell’obsolescenza programmata, strumento commerciale di cui si parla da tempo (famoso per chi si voglia documentare, ad esempio, è il caso dellecartello Phoebus, dei produttori occidentali di lampadine artificialmente limitata a mille ore di uso), è da tempo invocato ma per la prima volta arriva addiirttura in una normativa. Con delle perplessità, come si osservava al principio: Delphine Lévi Alvarès, a capo di Zero Waste France, ritiene ad esempio che questa descrizione sia “vaga”, anche se va certamente nella giusta direzione.

La definizione più ampia di Obsolescenza programmata (di cui si sono occupati anche pensatori come il noto economista e filosofo francese Serge Latouche) è stata data dal designer statunitense Brooks Stevens: «L’instillare nell’acquirente il desiderio di comprare qualcosa di un po’ più nuovo, un po’ migliore e un po’ prima di quanto non sia necessario». Certo è che con una definizione del genere non solo qualunque apparecchio con un processore che segue la legge di Moore sarebbe dichiarato colpevole, ma anche la maggior parte delle collezioni di moda e prodotti di arredamento e design.

 

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