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Lumu, l’esposimetro per iPhone che avrebbe potuto fare Apple

È stato uno dei progetti di Kickstarter di maggior successo. Lumu è un piccolo esposimetro (light meter in inglese) a luce incidente che viene prodotto nella vicina Slovenia da un gruppo di appassionati di Lumulabs. Per funzionare si collega all’iPhone (o a selezionati smartphone Android, vedremo tra un attimo perché), fino ad ora ci sono tre applicazioni, una per le foto, una per l’effetto pinhole e una per il video, e funziona molto bene. Talmente bene che sta diventando un oggetto di culto non solo tra gli appassionati di fotografia a pellicola, ma anche tra i professionisti del settore.

Come è fatto
La confezione è minimale: una elegante scatolina di metallo che contiene un piccolo foglietto di istruzioni (inizia con i saluti “hello” su fondo bianco che ricordano molto la conversazione del design di Apple) e l’oggetto vero e proprio contenuto in un bustina di vera pelle lavorata a mano. Attorno, girato tre volte, c’è un collarino di materiale sintetico in cui si può agganciare l’esposimetro per portarlo con sé durante una giornata di riprese o di scatti.  Un ottimo packaging che fa intuire oltre alla buona idea anche la cura e l’attenzione per i particolari. E pensare che si tratta di un prodotto nato sostanzialmente su Internet grazie al finanziamento degli appassionati!

L’esposimetro di per sé è un piccolo emisfero bianco, con il fondo piatto di color argento o nero, in materiale simile all’alluminio, leggerissimo e molto resistente. L’emisfero bianco di plastica contiene i circuiti e il sensore a cardioide. Sotto, il minijack a tre segmenti, caratteristico delle cuffie degli iPhone: contiene il passaggio dati e anche il circuito di alimentazione, che in tutti i prodotti Apple è costante, mentre non tutti gli smartphone Android l’hanno: per questo motivo nonostante esista la app per Android non è detto che tutti i telefoni cellulari di quel mondo siano compatibili.

Un’ultima nota sul design: tra il minijack e il corpo vero e proprio dell’esposimetro c’è uno spessore di tre o quattro millimetri. Serve per calcolare anche il gioco delle cover di Apple (e della maggior parte di quelle presenti sul mercato). In questo modo non c’è bisogno di “snudare” il telefono per farlo funzionare. Notevole davvero l’attenzione ai dettagli di questi ragazzi.

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Come funziona
Ci sono principalmente due tipi di esposimetri, cioè di strumenti atti a misurare la luce e a dare informazioni utili sulla quantità che verrà ricevuta tramite l’obiettivo dalla sostanza sensibile necessaria all’esposizione della foto: pellicola o sensore che sia. Il primo, utilizzato su tutte le macchine fotografiche (e gli smartphone come anche quello di Apple) misura la luce riflessa dagli oggetti. Praticamente quando “puntiamo” l’obiettivo verso qualcosa, l’esposimetro “vede” quanta luce arriva. Ci sono un po’ di problemi di precisione e di decisione: quale parte dell’immagine complessiva deve essere valutata? Che effetto a questo calcolo fa un raggio di sole che non impatta sul soggetto ma che arriva di traverso nel sensore? Sono tutti problemi che vengono risolti da un altro modo di misurare la luce (e fare le fotografie vuol dire letteralmente “disegnare con la luce”) e cioè la misura della luce incidente.

Questo secondo modo è quello usato classicamente dai fotografi da studio ma ha senso anche quando si è all’aperto. È realizzato avvicinando al soggetto che si vuole fotografare (ad esempio il volto di una persona) l’esposimetro con la calotta bianca girata verso la direzione nella quale saremo noi. In questo modo viene misurata dallo strumento quanta luce arriva al soggetto (anziché quanta questi ne rifletta verso di noi) ottenendo numeri più precisi e funzionali

Scattare una foto
La modalità di utilizzo dell’esposimetro è altrettanto importante rispetto alla sua sensibilità. Molti dei prodotti in commercio in ambito professionale sono molto complicati e la flessibilità viene cancellata dalla necessità di conoscere numerosi settaggi per poterli adoperare. Non è il caso dell’interfaccia del Lumu, che è invece molto semplice e ben disegnata. Ci sono tre ambiti fondamentali: misura degli Ev, misura dell’esposizione tradizionale e misura della luce per riprese vide. Tralasciamo la prima e l’ultima e approfondiamo solo quella relativa alla fotografia, che abbiamo potuto provare a lungo e che ha reso per chi scrive questo piccolo apparecchio un compagno prezioso degli scatti su pellicola e non solo.

In pratica sono tre le variabili importanti per scattare una foto: la sensibilità ISO del sensore (o della pellicola), l’apertura del diaframma e la velocità dell’otturatore. Ciascuna di queste grandezze cresce di unità (gli stop) che sono un raddoppio o dimezzamento della quantità di luce che arriverà sul sensore. La differenza tra 100 ISO, 200 ISO e 400 ISO è questa (seguendo la scala la luce raddoppia o dimezza), tra f/1,4, f/2 e f/3,5 è analoga (seguendo la scala la luce raddoppia o dimezza) e stessa cosa per i tempi di scatto: 1/30, 1/60, 1/100 (anche qui, si raddoppia o si dimezza). Per motivi storici, di arrotondamenti e altro le scale non sono perfettamente lineari, ma non è questo il problema. L’idea stessa di “stop” è stata pensata per poter paragonare cavoli, pere e limoni, cioè aperture di un diaframma, tempi di scatto e ISO della sensibilità di pellicola o sensore.

Cosa fa dunque Lumu? Offre una misura della luce che può essere ancorata a ciascuna di queste tre grandezze. Se per esempio decidiamo che abbiamo un ISO fisso a 100 e scatto a 1/100, Lumu ci dice quale apertura del diaframma dobbiamo avere per avere una esposizione corretta. Possiamo fare la misura anche utilizzando due variabili flottanti (quanti ISO e quanti centesimi di secondo per una certa apertura) sempre considerando che la regola di base è molto semplice: per quella quantità di luce esiste una certa esposizione ottimale e se noi chiudiamo ad esempio il diaframma di uno stop dobbiamo rallentare lo scatto di uno stop oppure aumentare la sensibilità degli ISO di uno stop (cioè raddoppiando). Lumu ci dà la misura, il punto di partenza e il riferimento costante.

Per il video il discorso non è diverso (cambiano solo alcuni tipi di misure), mentre per il pinhole lo scopo è quello di calcolare quali tempi di esposizione per quel particolare tipo di tappo-obiettivo che trasforma una moderna macchina fotografica digitale in un apparecchio degli anni Venti senza lente ma solo con un buco.

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Conclusioni
Adoperiamo da qualche tempo questo piccolo e utile strumento. Il software ha varie funzionalità (più o meno 3 stop in incrementi di un terzo di stop, registro per i rullini scattati con coordinate gps, dati esposizione e possibilità di scattare la stessa foto con il telefono, salvando il tutto su Dropbox) e altre leccornie che rendono l’esperienza d’uso dell’esposimetro di Lumulabs veramente piacevole. Aver poi scoperto su Internet che in realtà ci sono vari fotografi professionisti che utilizzano questo strumento ad esempio con vecchie macchine fotografiche vintage o per sostituire costosi esposimetri scomodo da trasportare  ci rafforza nell’idea che la scelta di utilizzarlo sia stata la migliore.

Grazie a Lumo abbiamo notato una superiore qualità dello scatto con vecchie macchine a pellicola prive di esposimetro, perché avere la possibilità di calcolare in maniera più scientifica e precisa l’esposizione rende tutta l’esperienza dello scatto più corretta e ben studiata. C’è veramente da chiedersi come mai nessuno ci avesse pensato prima: adesso ci è praticamente impossibile fare a meno di questo piccolo ma prezioso apparecchio.

Pro
Molto leggero, trasportabile
Ottima fattura, maniacale attenzione per i dettagli
App allo stato dell’arte: semplici e funzionali

Contro
Prezzo consistente
Molto piccolo e leggero: si rischia facilmente di perderlo

Lumu è disponibile in ero o in argento a 149 euro, a questo collegamento

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