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Pavel Durov, CEO di Telegram: «WhatsApp fa schifo»

S’infiamma la competizione fra WhatsApp e Telegram: da una parte il servizio di messaggistica più popolare del momento, dall’altra l’alternativa emergente più apprezzata da chi non vuole seguire la corrente.

A dare fuoco alle polveri è Pavel Durov, CEO di Telegram, che durante l’evento TechCrunch Disrupt non le manda a dire e s’esprime con un perentorio “WhatsApp fa schifo”.

La prima critica su cui spinge Durov è legata alla necessità di dover utilizzare WhatsApp Web con il telefono sempre connesso: “Se si dispone di WhatsApp e il telefono perde la connessione, non avete accesso ai vostri messaggi – dice Durov, rincarando la dose – Non si possono inviare documenti e non è privato. Non ero sicuro se essere un grande fan di WhatsApp tre anni fa, e non lo sono nemmeno ora”. Telegram offre un elevato livello di sicurezza, oltre a permettere lo scambio di documenti di grandi dimensioni; ad oggi su Telegram transitano 12 miliardi di messaggi al giorno, due miliardi in più rispetto ad agosto.

Durov ha anche anticipato l’intenzione per Telegram di mettere a disposizione delle API per i pagamenti, che certamente aiuterebbero il servizio a concorrere meglio con rivali come Facebook Messenger; probabilmente non sarà un servizio proprietario ma una partnership con fornitori di terze parti.

Pavel Durov ceo di telegram
Pavel Durov

Il CEO dell’azienda ha risposto anche alle accuse di essere un servizio ancillare al terrorismo: è provato infatti che l’ISIS fa uso di Telegram vista la sicurezza che è in grado di garantire: “La privacy è in definitiva più importante delle nostre paura di brutte situazioni, come il terrorismo. Se si guarda all’ISIS, sì, c’è una guerra in corso in Medio Oriente. In ultima analisi, ISIS saprà trovare un modo per comunicare con le sue cellule, e se un qualche mezzo non fosse sicuro per loro, ne troveranno un altro. Non dobbiamo sentirci in colpa per questo. Stiamo ancora facendo la cosa giusta, la protezione della privacy dei nostri utenti”.

Tematiche di questo genere mettono ancora una volta in campo l’eterno conflitto fra riservatezza dei dati e sicurezza e la difficoltà di stabilire una netta linea di demarcazione fra la necessità di garantire la privacy individuare agli utenti e l’impegno nel voler contemporaneamente proteggere la collettività.

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