La prima cosa che salta agli occhi, soprattutto a quelli di un giapponese, è il nome. Sony viene dal mix “Sonus” e “Sonny Boy” (o “Sunny”, soleggiato, secondo un’altra vulgata della mitologia aziendale). All’origine la compagnia fondata nel 1946 si chiamava Tokyo Tsushin Kogyo, con la dizione del nome espressa attraverso i consueti caratteri giapponesi derivati dal cinese, i Kanji. Ma dopo, vista la necessità sorta quasi subito di aprirsi verso i mercati Occidentali, era necessario trovare un nome più facilmente assimilabile dai futuri clienti europei ed americani. Visto che la sigla TTK era fin troppo simile a quello di una delle compagnie ferroviarie della capitale, Tokio Kyuko (TKK), si optò per il cambiamento radicale.
Questo venne sottolineato anche dalla scelta di utilizzare la trascrizione fonetica della parola straniera (che in giapponese avviene utilizzando un differente set di scrittura riservato a questo genere di parole non oriunde dell’Arcipelago del Sol Levante) e di non dettagliare il termine Sony con nessun tipo di specificazione circa il ramo d’industria nel quale avrebbe operato. Su questo punto il fondatore Akio Morita (grande appassionato di ferromodellistica e collezionista di modelli di treno di tutte le dimensioni) fu irremovibile, nonostante la banca Mutsui, principale investitore dell’epoca nel capitale di Sony, volesse un Electronic Industry o almeno un Teletech come suffisso del nome.
La mossa di Morita, che nel culto aziendale tutto giapponese per la figura dei padri fondatori è considerato un vero nume tutelare, fu profetica. Sony è stata sempre libera nominalmente e psicologicamente di correre le vie dell’innovazione e della diversificazione senza timore di portare a contraddizione la sua ragione sociale. Ma il grande “agitarsi” sui mercati della compagnia che ha almeno tre brand “storici” nella sua faretra (Trinitron, Walkman e Playstation) l’ha anche portata sempre più fuori dal Giappone e dall’orbita degli interessi industriali di quel Paese.
Infatti, nella terra delle Zaibatsu, gli antichi conglomerati a base familiare nati a cavallo dell’Ottocento con l’ultima apertura dell’Arcipelago all’Occidente che mescolano industria e banche sotto un’unica dinastia, Sony non ha mai raggiunto neanche il grado di Keiretsu, la versione moderna e più “distesa” di questo assetto.
Se in prima linea c’erano le quattro “grandi” Zaibatsu dell’economia nipponica: Mitsubishi, Mitsui, Sumitomo, Yasuda, Sony non compare neanche nella più moderna lista delle Keiretsu, tanto è eccentrica rispetto all’assetto del Paese. Questa anomalia, questa capacità di essere “la più internazionale delle aziende giapponesi” ovvero “la più giapponese tra le aziende internazionali” hanno reso nel tempo Sony un anomalo mix tra cultura del business Occidentale e precisione meditata e attenta ai dettagli tutta nipponica.