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Attenzione: l’Open Source non finisce con Linux

Mettiamola così: a sbagliare, come al solito, siamo stati per primi noi giornalisti. Ma in realtà  c’era poco da fare. Per farci capire meglio dal grande pubblico la strada era obbligata. Ma adesso, dicono qui a San Francisco durante il LinuxWorld, la conferenza organizzata nella città  californiana da Idg, è arrivato il momento di cambiare strada.

Qual è il motivo di tanto clamore e di accuse così gravi? Uno solo: sbagliare la parte per il tutto. Parlare di Linux quando bisognerebbe parlare di Open Source. Insomma, rimettere le cose in prospettiva e nella giusta proporzione, perché il momento per il mondo del pinguino è davvero significativo. Le nubi si addensano all’orizzonte e uno sbaglio adesso potrebbe portare a un cambiamento disastroso.

Lo dicono il Ceo di Red Hat, la distribuzione numero uno al mondo di Linux, Matthew Szulik, oppure il vicepresidente a capo delle operazioni del pinguino per HP, Martin Fink. O, ancora, il vicepresidente a capo delle operazioni del pinguino per Ibm, Jim Stallings. Lo dicono, insomma, tutti quelli che contano: Linux annoia e oltretutto è fuorviante parlarne sempre. Concentriamoci sul vero valore che c’è sotto: l’Open Source.

Chi, come l’editore statunitense Tim O’Reilly (a cui due giorni fa è accaduto un grave lutto familiare e al quale vanno le condoglianze della redazione di Macity) sta predicando ormai da anni insieme a Stallman, Perens e gli altri guru del movimento, non ha niente da rimproverarsi. Per loro è sempre stato evidente che l’Open Source era la vera novità , che sta cambiando i paradigmi. E che Linux, e il suo occasionale creatore Linus Torvalds, non sono i veri eroi.

Anche perchè di progetti Open Source ce ne sono anche altri e di maggior successo: da Gnu (di cui Linux è il kernel) a quelli della fondazione Apache, a Tomcat, a FreeBsd, a una serie di tools nati in ambiente collaborativo e che servono da fondamenta per il funzionamento di quasi tutta la rete.

Riagganciandosi quindi a quanto dice Bill Joy, uno degli uomini che hanno attraversato in modo significativo gli ultimi venti anni dell’informatica moderna, il network è il computer. Quindi, le nuove applicazioni che stanno sconvolgendo le economie moderne, dai tempi del Pc lanciato da Ibm che poi ha visto la nascita dell’impero di Microsoft, sono oggi Google, Amazon, eBay.

Queste mega-imprese, collettori della nuova economia, frutto della stabilizzazione dopo l’ondata distruttiva della bolla speculativa della new economy, ci sono solo perché gli strumenti sottostanti sono Open Source. Non è questione di Linux, perché c’è Perl, Php, FreeBsd, Bind e tantissime altre cose che fanno funzionare la rete. Di cui loro sono un servizio a valore aggiunto, il paradigma della nuova economia.

Per questo qui a San Francisco, una città  battuta dal vento e fredda, sotto una coltre di nuvole che coglie di sorpresa solo i turisti italiani inconsapevoli dell’alternanza climatica che ha reso famosa la città  della Baia, durante il LinuxWorld la riflessione è critica. Ci si chiede: non sarebbe meglio chiamarlo OpenSourceWorld? La risposta è aperta a quello che accadrà  nel futuro.

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