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Australia, non di solo virus si muore

Kerrina Lawrence da fine settembre è diventata una specie di star della televisione e della radio australiana. Ma preferirebbe volentieri farne a meno. Da nove anni portavoce di Telstra, l’incumbent sulla via della privatizzazione per le telecomunicazioni e i servizi Internet, ha dovuto affrontare la peggiore crisi nei servizi dell’azienda, un evento che i responsabili delle direzioni tecnologiche di tutto il mondo considerano il peggior incubo possibile.

A fine settembre, infatti, il sistema di posta elettronica degli abbonati al servizio di Telstra, BigPond, il “grande stagno” (è il modo in cui gli australiani chiama l’Oceano Pacifico), è impazzito e per quasi tre mesi non ne voluto sapere di tornare alla normalità . Da settembre le conferenze stampa organizzate da Kerrina si sono popolate di folle giornalisti e reporter dei cinque network televisivi nazionali, mentre sulla stampa le sue foto si alternano a quelle del responsabile di BigPond, Justin Milne e a quelle dell’amministratore delegato di Telstra, Ziggy Switkowski.

I guai sono iniziati a fine settembre: prima uno sfortunato aggiornamento dei software che gestiscono la posta elettronica dei due milioni di abbonati, più del 20% dei 18 milioni di abitanti del contienete australiano. Poi, poche settimane dopo, Swen.A, un virus che si è inserito nei server della posta, rallentandoli e facendo misteriosamente scomparire i messaggi, salvo poi farli ricomparire magicamente dal nulla e consegnarli a destinazione con un ritardo medio tra i sette e i dieci giorni.
Nei caffè di Melbourne e nei sushi-bar di Sydney l’interesse per la Coppa del mondo di Rugby, che si è svolta da ottobre fino a i primi novembre, è stato lentamente soppiantato dal mistero dell’e-mail a intermittenza.

Gli annunci tranquillizzanti dell’azienda, nel difficile periodo di transizione verso il mercato, hanno per un certo periodo evitato di affrontare il nocciolo della questione. Ma le rubriche di posta dei giornali e delle radio – molto ascoltata soprattutto nell’Outback – sono state subissate da utenti inferociti. C’è chi gestisce il suo piccolo business basandosi sull’e-mail, chi fissa appuntamenti per la mattina dopo salvo scoprire poi che il messaggio è arrivato in ritardo di dieci giorni, chi ha perso gare e commissioni.

A inizio ottobre, la posizione di Telstra era chiara: “Il servizio di posta funziona – dichiarava serena per BigPond Kerrina – anche se è un po’ lento”. Solo dopo una settimana, il 16 ottobre, il riconoscimento che “un servizio di posta elettronica lento in effetti è come non avere alcuna la posta elettronica”.

A novembre, per quanto possa sembrare incredibile per un paese che si classifica al terzo posto mondiale nel rapporto tra Ict e Pil, di cui costituisce il 10%, la questione ancora non è stata completamente risolta.

La debacle, infatti, non ha riguardato solo tecnologica ma ha anche messo alla luce i problemi di gestione dei processi e di management.

E il danno non solo di immagine che ne è risultato è considerevole: in un rapporto realizzato dall’australiana enRG Communications, basato sull’analisi di un sondaggio tra gli utenti di BigPond, infatti, il 47% degli intervistati dichiara di aver sofferto danni economici dalla crisi delle email, mentre il 49% ha programmato di cambiare fornitore di accesso. Il livello di soddisfazione per il servizio è crollato, con l’82% dei clienti che esprimono opinioni negative sull’azienda e la qualità  del servizio. E il 10% minaccia anche azioni legali, mentre il 55% ritiene che le offerte gratuite di “compensazione” offerte dall’azienda per recuperare il danno di immagine, cioè due settimane di accesso a Internet in banda larga gratuito, tre mesi di abbonamento a un sistema integrato di antivirus, firewall e filtri contro lo spam, siano completamente inadeguate.

Ma il paradosso maggiore, secondo Michael Sainsbury dell’Australia Post, il servizio postale australiano, è un altro: “La crisi dell’email del servizio BigPond di Telstra ha un vincitore occulto che pochi immaginano. Con la posta elettronica letteralmente atomizzata, infatti, non ci hanno guadagnato né i corrieri convenzionali né il servizio postale. Ci ha invece guadagnato Telstra stessa, monopolista della telefonia fissa, per tutte le telefonate in sostituzione dell’email o di verifica di utenti ansiosi di capire se i loro messaggi erano effettivamente arrivati a destinazione. Un aumento sostanziale del traffico che ha il sapore di un’amara burla”.

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