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Dos Attack: trovato uno dei computer usati dai Pirati

“Siamo certi – ha dichiarato ad Associated Press Kevin Schmidt, responsabile della rete informatica del campus – che uno dei nostri computer possa essere stato usato dagli hackers per lanciare il DOS attack alla CNN. Nella notte tra martedì e mercoldì, controllando la rete da casa, ho notato una forte anomalia nel traffico di una delle macchine. Scorrendo i log ho scoperto che il sistema era stato usato per mandare pacchetti alla rete di CNN secondo la modalità  del DOS attack.”.
L’avere scoperto una delle macchine usate dai pirati informatici significa avere fatto un passo avanti, ma non avere trovato i responsabili. Infatti è noto che gli hackers violano le macchine da punti differenti della rete mascherando le tracce. “Non abbiamo nessuna indicazione che sia stato qualcuno dei nostri alunni a lanciare l’attacco – ha detto Schmidt – sappiamo solo che gli hackers sono entrati dall’esterno della nostra rete hanno usato una della nostre macchine”.
Al momento, secondo fonti giornalistici, l’FBI avrebbe messo sotto sequestro la macchina e starebbe lavorando sui dati su di essa custoditi. Le stesse fonti, citate dalla CNN, sostengono che la polizia federale, dopo la scoperta dell’utilizzo da parte dei pirati della macchina del campus di Santa Barbara, starebbe restringendo la sua attenzione su punti particolari della rete, in particolare la California e l’Oregon. In analisi ci sono migliaia di file di log e centinaia di computers, il tutto per cercare di trovare tracce concrete dei reali responsabili dell’evento. Ufficiali dell’FBI, interpellati al proposito, non hanno rilasciato alcun commento nè hanno confermato queste voci. In ogni caso vengono smentiti arresti imminenti.
Intanto negli USA c’è chi guarda l’aspetto positivo della vicenda. Dopo decine di appelli caduti nel vuoto, allarmi e preoccupati preavvisi, finalmente, le problematiche della sicurezza del business su Internet sembra siano state prese sul serio dagli americani e dalle società  che operano sulla rete. Le dimensioni degli attacchi e l’importanza dei siti colpiti hanno convinto tutti che ora è necessario operare seriamente per impedire che episodi di questo tipo limitino la crescita di Internet e lo sviluppo della cosidetta New Economy, di cui la rete è uno fattori cardine.
Così molti responsabili di sistema stanno riprendendo in mano le guide rilasciate da alcune università  specializzate, come la Carnegie Mellon che mesi fa avevano avvertito, pubblicando libri bianchi sulla materia, dei pericoli potenziali derivanti dai DOS Attack. Torna d’attualità  anche un software, rilasciato dall’FBI, grazie al quale è possibile verificare se un computer sia stato “infestato” con un cosiddetto Daemon, un’applicazione attivabile a distanza dagli hacker per utilizzare quella macchina per lanciare un DOS Attack. Decine di computer, ridotti a sorta di “Zombie” informatici con questo sistema, sono stati alla base dei massicci assalti dei giorni scorsi. Più i computer ridotti in schiavitù sono potenti e connessi a network estesi, più gli attacchi sono efficaci, per questo in settimana sono stati sottoposti a indagine tutti i computer del Pentagono e quelli della pubblica amministrazione americana. In questo quadro, infine, il presidente Clinton ha disposto che 4 mila miliardi di lire siano devoluti con effetto immediato a rafforzare i sistemi di protezione dei sistemi più sensibili della rete governativa.
Parallelamente si stanno studiando forme di repressione più severe di quelle applicate fino ad oggi. Ad esempio è molto probabile che se qualcuno dei responsabili fosse catturato rischierebbe molto di più che i 10 anni di prigione stabiliti dalla legge americana. L’obbiettivo è premere sull’acceleratore della giustizia tralasciando le simpatie, spesso sottese, che permeano certi ambienti quando si tratta di hackers. Una giustizia che sappia individuare e punire con pene più severe e certe i responsabili di questi atti, è l’opinione della maggior parte dei responsabili del sistema americano, potrebbe indurre molti hackers a dedicarsi a hobby potenzialmente meno devastanti per l’economia ma, soprattutto, indurre chi ancora non crede che si tratti di atti criminali veri e propri a lasciar cadere il velo di omertà  diffuso che ancora protegge i responsabili.

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