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Google: To Video Or Not To Video?

Un giorno due ragazzi si trovano a casa di uno dei due e portano avanti il loro sogno. Video per tutti, in questo caso. Scrivendo su una lavagna “YouTube”, TuaTivù, se volessimo tradurre in maniera rozza e forse anche sbagliata. Comunque, avete capito. La solita vecchia storia che da cinquant’anni giù per su va in onda nella Silicon Valley. Due ragazzi, forse tre si ritrovano in un garage, in un bar, in una pizzeria, nella cameretta di un dormitorio universitario e hanno un’idea. La storia non tramanda quanti di quelli che hanno fatto così sono finiti a fare i taxisti per le strade di qualche periferia americana. La storia tramanda quelli che si sono messi in tasca almeno 50 milioni di dollari. E la leggenda invece canta quotidianamente le gesta di quelli che ne hanno a decine di miliardi.

Forse i signori Hewlett e Packard, forse Larry Ellison, il patròn di Oracle, forse Steve Jobs e Bill Gates, forse Page e Brin, i fondatori di Google. Quanti saranno? Cento miliardari? Comunque, sono loro il motore, la benzina e pure le ruote sterzanti e motrici della rivoluzione digitale. Solo che non è tanto il lato digitale ad essere interessante, quanto l’aspetto finanziario. Perché i signori passano prima o poi per la Borsa e come in una sorta di favoletta morale, il loro successo diventa il successo di tutti o per lo meno di quelli che ci hanno creduto.

Con buona pace di tutto il resto: le crisi cicliche, gli scandali, le tecnologie che arrivano solo come prodotto collaterale dell’attività  economica, gli stili di vita hollywoodiani (loro) e mediocri (nostri) perché tutto sommato sempre legati a quelle quattro o cinque promesse di base (il computer del futuro, una vita diversa, una rivoluzione permanente) che non si realizzano mai. Promettono velocità  che neanche Achille Pié Veloce, ma poi ti spiegano solo dopo che hai pagato pegno come mai non riesci a raggiungere la lenta tartaruga. Vedi, dicono, è un po’ un paradosso della filosofia classica, comunque la tartaruga si allontana sempre di più e tu non la potrai mai raggiungere, per quanto veloce tu possa correre con i tuoi sogni e le tue (costose) aspirazioni.

Prendete i due ragazzi in questione, quelli che con 1.63 miliardi di buona entrata sono diventati dipendenti di Google. Poca roba, tutto sommato, per un’azienda la cui capitalizzazione si aggira sui 129,83 miliardi di dollari. Ebbene, i due ragazzi in questione cos’hanno venduto alla fabbrica di soldi e del motore delle intenzioni? Server in grado di fare streaming giorno e notte di decine di migliaia se non centinaia di migliaia di video? No. Raffinate tecnologie software per mostrare i suddetti video nelle pagine web con qualità  mai vista prima? No. Allora accordi strategici con grandi aziende, brevetti di importanza capitale, mercati floridi o contratti da milioni o miliardi di dollari nel backlog? Neanche.

Il frutto saporito e gustoso che porta con sé YouTube sono un marchio ben riconoscibile, una sana reputazione in rete e tonnellate e tonnellate di teste. Teste di persone. Persone con sogni, preferenze, desideri, manie, passioni, idee, paure, ansie e pure svanimenti. Persone che raccontano tutto questo con i bit che lasciano impressi nei server di YouTube e che adesso andranno ad aumentare la caverna di Ali Babà  delle Mille e una notte digitali di Google. Apriti Sesamo, entrano altre anime. Sembra una terzina dell’inferno dantesco e invece è la nuova bolla del Web 2.0. Grandi idee si spostano insieme a tante impronte digitali delle persone. Il web sociale ha prodotto almeno un’altra coppia di miliardari, prima che il ciclo giunga al suo termine. Questo è il significato non tecnico, in ultima analisi, dell’acquisizione operata ieri da Google.

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