Non occorre essere esperti yamaloghi per stupirsi di fronte al rapporto pubblicato dal Ministero degli Interni e delle Comunicazioni nipponico: un quinto delle aziende dell’Arcipelago, infatti, utilizza applicazioni e soluzioni made in Open Source, e considera l’affare molto conveniente.
Secondo quanto rilevato dal sondaggio condotto online (la cui metodologia non è stata divulgata in lingua inglese), inoltre, il 21% delle aziende ha introdotto sistemi basati su Linux, FreeBSD, OpenBSD e altro, mentre il 22% pianifica di utilizzare soluzioni Open Source.
Le cifre, inferiori al 33% su cui si attesta invece il mercato statunitense, sono comunque di tutto rilievo, considerando soprattutto la maggiore frammentarietà del sistema industriale nipponico (paragonabile per alcuni versi a quello italiano e spagnolo) e la rilevanza che i progetti Open Source possono avere in aree come quella dell’Estremo Oriente in cui una serie di economie sono strettamente collegate: Giappone, Corea, aree cinesi di maggior libero scambio (Hong Kong e Shangai), Taiwan.
Secondo quanto riporta la ricerca condotta dai giapponesi, inoltre, il 66% delle aziende che lo hanno adottato considerano l’Open Source conveniente in fase di attivazione dei progetti, mentre il 47,8% rileva bassi costi di gestione rispetto ai software proprietari. Tra gli usi maggiori, quello dei sistemi per la gestione del web, posta elettronica, file servers, ma anche in applicazioni finanziarie, buste paga, distribuzione e servizi alla clientela (Crm).
Almeno il 20% delle aziende nipponiche, tuttavia, considera l’Open Source non interessante e non intende utilizzarlo nel proprio business, mentre un altro 22% lo ha preso in considerazione ma non pensa di utilizzarlo nel medio periodo.