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Le ambizioni incontenibili di Google

Nei giorni scorsi i giornali italiani, sull’onda di una serie di articoli usciti sulla stampa statunitense, hanno affrontato un tema che può sembrare paradossale: nel business il troppo successo rende antipatici.

Paradossale non tanto perché la stampa italiana occhieggi senza dichiararlo a quella statunitense (lo fa da decenni, ormai nessuno si scandalizza più neanche se può leggere su Internet gli originali), quanto perché in una cultura economica che mira al successo a tutti i costi scoprire che risultati troppo buoni e una crescita senza limiti non vanno bene suona davvero strano.

Il New York Times esordisce in maniera molto chiara: “Rilassati, Bill Gates, è Google che sta diventando il cattivone”. E continua: “Paragonano Google a Microsoft, il diabolico monopolista. E non è un complimento”. Google dà  fastidio nell’industria perché attrae a prezzi altissimi i ricercatori a Mountain View, costringendo le altre aziende a fare capriole per offrire paghe adeguate col gigante della ricerca. Droga il mercato delle applicazioni, seppellisce le possibilità  di avviare nuovi business in decine di settori, chiama a sé clienti forzando la mano a tutti gli altri attori. Un esempio? Gli abbonati a Gmail sono in realtà  molto pochi, per dire, ma tutti gli altri servizi – che di abbonati ne hanno a decine di centinaia di migliaia se non a milioni, come Hotmail e Yahoo! Mail – sono stati costretti a spendere cifre enormi per offrire le stesse capacità  di storage delle caselle da 1 Gigabyte.

Ma non è solo questo il fatto. In realtà , Google porta con sé una contraddizione più profonda. Il motore di ricerca di Mountain View oggi fa milioni di cose diverse. Uno solo dei suoi business collateriali, dei suoi servizi a valore aggiunto (alcuni buoni, altri terribili, comunque tanti) basterebbe a una società  di medie dimensioni. Il gigantismo di Google ha sapore evolutivo e quasi di adattamento all’ambiente e alle circostanze. Google ha costruito strumenti di calcolo e di archiviazione dei dati potentissimi per raccogliere al meglio le informazioni necessarie ad alimentare il suo motore di ricerca. E adesso si trova un surplus di creatività  e di risorse che gli permettono di lanciare nuovi servizi, sfruttando in maniera intelligente le idee che nascono all’interno o all’esterno dell’azienda.

Insomma, Google ha raggiunto e probabilmente superato quella “massa critica” necessaria a diventare non solo un riferimento ma un vero e proprio monolite all’interno del mercato, come Microsoft venti anni fa e prima ancora Ibm. Possiede le tecnologie, possiede le applicazioni, possiede l’inventiva e soprattutto possiede i dati. Milioni, miliardi, tonnellate di dati su tutto, raccolti attraverso la rete e non solo. Un patrimonio da fantascienza, il cui utilizzo non è mai stato sino in fondo esplorato o previsto.

George Orwell non sarebbe riuscito a immaginare, lui che usciva dagli assolutismi della prima metà  del Ventesimo secolo, un Grande Fratello privato e dal brand allegro e positivo come Google. Orwell si immaginava una tecnocrazia che controllava il mondo, non avendo potuto prevedere la Corporate America e la rivoluzione informatica (dopo la rivoluzione atomica e prima di quella biochimica, le tre grandi discontinuità  del Ventesimo secolo) e soprattutto non avrebbe potuto prevedere questi soft monopoly, queste situazioni di potere fortissimo ma esercitato in maniera apparentemente dolce e ben imbellettata verso i consumatori e le altre aziende.

Google è diventata, si dice, l’ossessione di Bill Gates. Forse, in realtà , si tratta di una ossessione necessaria a smuovere e mantenere efficiente la macchina di Microsoft, lanciata da un decennio verso lo stallo per quanto riguarda la sua capacità  di innovare e che finalmente ha a disposizione un avversario reale contro il quale misurarsi. Non è un problema da poco, perché ad esempio per sviluppare i suoi prodotti negli ultimi anni Microsoft ha dovuto creare una finta concorrenza interna, con team che lavoravano in parallelo e solo la soluzione migliore veniva premiata diventando “gold”. Come mai? Perché il mercato non riusciva a generare più la spinta competitiva necessaria, soffocato dall’abbraccio mortale del soft monopoly.

Google infine è diventato lo strumento in grado di cambiare la vita delle persone. Cnet, il giornale online di tecnologia, è stato bandito dalle conferenze stampa di Mountain View perché ha toccato un nervo scoperto: per mostrare quanto sia facile attraverso il motore di ricerca raccogliere informazioni sensibili su chiunque, ha pubblicato le informazioni economiche e sullo stile di vita di uno dei fondatori di Google stesso. Due ore di lavoro con il motore di ricerca e una reazione scomposta di Google. Ma anche un segnale chiaro sulle potenzialità  dell’azienda. Che è cresciuta veramente tanto (adesso ricapitalizzerà , aumentando la disponibilità  di cassa con una nuova emissione di azioni) e sul cui impero non tramonta mai il sole. Per adesso.

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