Il verdetto di Washington, infatti, è solo il secondo atto di un cammino che prevede molte altre tappe. Prima Jackson ha delineato i fatti (l’ormai arcinoto Finding of facts ) ora ha pronunciato il suo Finding of Laws. Mancano all’appello i rimedi che dovranno essere imposti a Microsoft per impedire altre violazioni della legge. La sentenza finale che chiuderà definitivamente il ruolo di Jackson è attesa prima dell’estate. Ma anche a quel punto la vicenda sarà ben lungi dall’essere conclusa.
Infatti Microsoft si apellerà e il caso continuerà fino ad arrivare anche alla Corte Suprema. Lo hanno fatto capire chiaramente ieri i principali protagonisti della società che produce Windows. “La sentenza stravolge il fatto da tutti riconosciuto che il nostro software ha reso più fruibile il mondo dei computers per milioni di persone”, ha detto Gates. “Abbiamo forti elementi per appellarci alla setenza e lo faremo”, ha aggiunto William Neukom, responsabile degli affari legali di Microsoft. Si annuncia, insomma una lunghissima battaglia legale che potrebbe durare ancora anni, qualcuno prevede almeno due, e riservare ancora molte soprese per tutte e due le parti.
Per questo già nella giornata di ieri alcuni osservatori predicevano un nuovo ritorno al tavolo delle trattative. Una soluzione mediata, infatti, potrebbe essere l’esito finale più gradito per ambedue le parti. Da una parte Microsoft potrebbe rinunciare a qualcuno dei suoi privilegi in virtù della certezza che le sue mosse sul mercato da qui a due anni non finiscano per essere sconvolte da una nuova sentenza sfavorevole, da una parte il diparimento di giustizia eviterebbe le incertezze di un appello e riuscirebbe forse ad ottenere abbastanza per non far dire a qualcuno di avere scatenato una vera e propria tempesta per avere in cambio solo un placebo. D’altra parte la maggior parte degli osservatori ritiene che anche ammesso che la sentenza di Jackson possa imporre la separazione di Microsoft in società più piccole, ciascuna con un suo settore di competenza, ben difficilmente questo giudizio possa essere fatto proprio anche dalla Corte Suprema. Nessuno, infatti, sembra essere interessato seriamente ad una frammentazione di Microsoft e forse anche il Dipartimento di Giustizia ritiene ugualmente efficaci altri sistemi di punizione. Per questo un’accordo mediato che ponesse reamente un limite allo strapotere di Microsoft potrebbe essere ben accetto dagli avvocati del Governo. Resta da vedere se a Redmond si ritiene più produttivo rischiare la “lotteria” della Corte Suprema sperando di ottenere un successo pieno, o se rinunciare al rischio e trovare un accordo. E’, in ogni caso, difficile pensare al momento ad uno scenario nel quale Microsoft possa realmente rinunciare alla sua libertà di manovra nel mercato e alla possibilità di operare in tutti i settori. Piuttosto è pensabile una prospettiva nella quale i produttori di Windows accettino qualche forma di controllo, ma non vincolante, sulle loro pratiche di business. Basterà questo a convincere il DOJ che in futuro non si verificheranno più casi come quelli che hanno spazzato via Netscape?
Lo sapremo tra qualche mese. Intanto, però, ora Microsoft dovrà affrontare la prevedibile miriade di processi indetti da uffici legali privati che raccogliendo le cause di privati cittadini che si saranno sentiti danneggiati, chiederanno risarcimenti in danaro. Potenzialmente potrebbe trattarsi di miliardi di dollari in danni serviti su un piatto d’argento. La sentenza di Jackson, infatti, a giudizio di molti esperti del settore è più che sufficiente per costituire un elemento fondante per un’accusa di questo tipo.
Microsoft colpevole, sentenza finale lontana
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