L’indagine lanciata dalla corte dello stato di New York sulla musica digitale riguarda la possibilità che le case discografiche si siano accordate per imporre prezzi fissi nella vendita all’ingrosso. Questo il poco che si è riusciti a sapere nel corso della giornata di ieri da Darren Drop, portavoce dello State Attorney, Eliot Spitzer che ha lanciato l’inchiesta.
La precisazione non chiarisce molto dei termini della questione, se non confermare che l’eventuale procedimento che dovrà essere avviato nel momento in cui l’indagine preliminare dovesse assodare una infrazione delle leggi americane, sarà orientato a verificare se le “big four” (BMG Sony, Vivendi Universal, Warner Music ed EMI) si siano accordate per non farsi concorrenza sulle canzoni vendute su Internet.
Nulla si sa dell’eventuale coinvolgimento di Apple, che negli USA rappresenta il canale che distribuisce il 70% della musica digitale. Non è neppure chiaro se Apple, che vende canzoni a 99 centesimi, sia considerata una vittima della vicenda. Nei mesi scorsi si è però più volte vociferato di pressioni comuni da parte delle case discografiche su Cupertino per sciogliere il vincolo dei 99 centesimi per tutte le canzoni e praticare prezzi differenziati a seconda dei brani. Apple aveva replicato accusando le case discografiche di voler trarre profitti oltre il lecito dai brani venduti via Internet. “Le canzoni vendute su iTunes – aveva detto Jobs durante la conferenza stampa in apertura di Apple Expo a Parigi – producono profitti più alti di quelli delle canzoni vendute nei negozi. Se vogliono alzare il prezzo significa che qualcuno sta diventando troppo avido”.
L’indagine lanciata da Spitzer non è la prima a riguardare le case discografiche. Qualche tempo fa lo stesso procuratore generale aveva indagato Warner e BMG Sony per presunte “ricompense” alle stazioni radio che “preferivano” la musica dei sui artisti. BMG Sony ha chiuso il caso pagando 10 milioni di dollari, Warner ne ha pagati invece 5.