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Pirateria: parla Ambrosia

Chi si è divertito con giochi come: Bubble Trouble, Avara, Escape Velocity, Ferazel’s Wand ed altri, ha capito subito di cosa stiamo parlando. Mentre, per i pochi che non lo sapessero, preciseremo che Ambrosia è una delle case più attive nella produzione di shareware per il Mac OS, e si è sempre distinta per l’alta qualità  dei suoi prodotti.

“La nuda verità  sulla pirateria” è il titolo di questo articolo che raccoglie alcuni aneddoti sull’impatto di questo criminale comportamento nei riguardi della ditta per cui lavora, spiegando il concetto di shareware, metodo alternativo di distribuzione, alternativo ai costi dei prodotti commerciali, ma non nel valore.
“Del resto cosa sono 25 dollari?”, si chiede, “se non il costo di una cena al fast-food ed un biglietto del cinema, per poche ore di divertimento, mentre un bel gioco può emozionare per giorni e settimane?”.

Matt Scot, si dilunga nel racconto dei primi anni dell’azienda, in cui la distribuzione dei loro lavori era basata su una gran fiducia nei confronti dell’utente finale. Non venivano progettati meccanismi di protezione, ed i giochi si potevano usare virtualmente per sempre, al solo scotto (!) di un amichevole avvertimento che ricordava di non aver pagato la quota di registrazione.
Scelta, questa, che poteva andare bene fin quando i soci erano studenti al college ed i loro bisogni erano limitati a pochi divertimenti, ma dopo la laurea, quando la Ambrosia software, divenne una vera realtà  produttiva, le cose dovettero cambiare.

L’autore venne ben presto a conoscenza delle percentuali in gioco, nel mercato dello shareware. Numeri da mettere spavento: i programmi realmente in uso erano cinque volte quelli effettivamente registrati. Cinque volte!
A ciò si aggiunse, dopo qualche tempo anche la minaccia di mancati introiti, portata da alcuni che avevano compiuto un’opera di reverse engineering sul loro meccanismo di generazione dei codici di licenza.
Ciò li costrinse a modificare i sistemi per il rilascio di nuovi codici, obbligando gli utilizzatori dei loro software a contattare i server della società  per ottenere, a partire dai vecchi, dei numeri di serie funzionanti.
Quello che scoprirono fu, francamente, sconcertante. In due giorni, su 194 tentativi di rinnovo dei codici, ben 107 erano piratati (più del 55%).

In conclusione, mr. Slot, pur lieto di riscontrare un vivo interesse per i loro prodotti, e, riconoscendo che i suoi dati non sarebbero statisticamente validi, pone l’accento sul fenomeno che non può certo essere definito come “transitorio” o “localizzato”, interrogandosi sul futuro della compagnia.

L’articolo originale, davvero gustoso, per chi conosca l’inglese, si può leggere direttamente qui.

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