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Quando il videogioco scopre che il blog è meglio dello spot

Il mestiere del giornalista dovrebbe avere delle regole etiche, anche quando va in rete. Su questo in molti sono d’accordo, anche se i modi con i quali è possibile esercitare questa professione differiscono in modo talvolta radicale da paese a paese. Allora qual è il problema?

Questa volta il dibattito è partito relativamente al mondo dei videogiochi. Un mercato da qualche decina di miliardi di euro l’anno, non bazzecole: un business maledettamente serio e come tale da prendere seriamente anche per quanto riguarda i suoi effetti in altri settori. In quello della comunicazione, in particolare, dato che non si rivolge solo ed esclusivamente a “ragazzini”, ma a un pubblico più ampio composto da fasce d’età  che arrivano sino ai quarant’anni. E che su Internet trovano molta, moltissima informazione.

Solo che talvolta questa informazione all’apparenza indipendente e anche di carattere giornalistico (come un buon blog potrebbe e dovrebbe essere) volontario, in realtà  è solo pubblicità  travestita. Gestita direttamente o indirettamente dai produttori del videogioco, mirata a far vendere sempre di più. Facciamo un esempio.

In pratica, c’è chi costruisce campagne di comunicazione mirate a influenzare i lettori dei blog e gli stessi produttori di diari online, per generare un effetto di comunicazione spontanea. In un caso, una campagna per un progetto di videogame è stata realizzata come se su un “innocente” blog venissero contrabbandate informazioni quasi segrete dai laboratori della softwarehouse che produce il video game. Con tanto di finte clip realizzate dai registi di The Blair Witch Project. Gli effetti possono essere devastanti: aumento delle vendite del 20% per i produttori del gioco da un lato, una ferita all’informazione libera da condizionamenti pubblicitari dall’altra.

Siti anche importanti, dove lettori-partecipanti scrivono continui post informativi (pensiamo a Slashdot negli Usa, ma ci sono esempi anche in Italia) sono i più semplici da “manipolare”. E questi stessi siti, privi di un maggior controllo formale e professionale, a loro volta possono potenzialmente “manipolare” (sempre in buona fede) i lettori con facilità . Cioè passare per notizie quelle che in realtà  sono solo pubblicità .

Soprattutto in gioco ci sono l’etica di chi viene coinvolto e il rispetto di chi si trova a leggere le informazioni sui blog, ritenuti generalmente più “attendibili” delle brochure pubblicitarie. Finora.

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