I top manager di Vodafone dicono: “Il Giappone ci ha aiutato a diventare migliori, a imparare cose nuove nel business della telefonia mobile, a fare del nostro gruppo una entità ancora più grande”. Però Vodafone K.K., la filiale nipponica, si è scontrata con un vero muro, quello delle differenze culturali e del nazionalismo locale. E adesso i nodi vengono al pettine.
“E’ chiaro che in Giappone ci sono due mercati di telefonia mobile – dicono investitori anonimi del settore – uno va benissimo ed è di proprietà di aziende giapponesi. L’altro è alla frutta, ed è composto dalla sola Vodafone”.
L’azienda internazionale aveva cercato di entrare nel mercato superando le difficoltà che si erano presentate sin dal principio, offrendo le migliori tecnologie e scelte commerciali. Ma sono risultate tutte sbagliate. Per esempio, l’accordo di commercializzare telefoni Nokia, tipicamente a corpo unico, nel paese dei telefoni a guscio. Oppure, la lentezza con la quale Vodafone K.K. è passata alle tecnologie di terza generazione, rallentata dalla tentazione di imporre lo standard europeo in uno dei pochi paesi al mondo dove il Gsm non ha mai avuto cittadinanza.
Infine, l’ipotesi della vendita: Softbank, il più grande fornitore di accesso a Internet del Sol levante, sarebbe pronto a prendersi carico della rete e del brand Vodafone K.K., trasformando la Cenerentola del mercato in un vincente.
Il costo della scommessa, le cui trattative sarebbero in corso, non è stato rivelato neanche in maniera indicativa. Si dice solo che dovrebbe valere più di mille miliardi di Yen, cioè quasi otto miliardi di euro. Attualmente il valore della società , però, è valutato intorno ai quindici miliardi.
Il valore di tutto il comparto della telefonia mobile nipponica è valutato dagli analisti in circa 70 miliardi di euro.