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Apple, un giorno farai anche tu come Patagonia?

Patagonia viene blindata in una fondazione senza fini di lucro: l’azienda, fondata cinquanta anni fa e mai portata in Borsa per rifiuto delle ottiche speculative e di corto respiro della grande finanza, è completamente coerente con i valori del suo fondatore, Yvon Chouinard. L’azienda, che vale circa tre miliardi di dollari, devolverà gli utili pari a circa 100 milioni l’anno, per contrastare il mutamento climatico e per proteggere habitat e specie a rischio.

L’azienda fin dall’inizio ha avuto una politica particolare per quanto riguarda i suoi capi di abbigliamento, pensati in modo sostenibile, riparabili (dai negozi stessi di Patagonia), scambiabili con altri capi, e fatti per venderne meno ma per farli durare per sempre o quasi. Il tutto, a costi molto più elevati rispetto alla fast-fashion di Zara e H&M o all’abbigliamento tecnico di Decathlon, tanto da far meritare all’azienda il nome denigrativo di “Pradagonia”.

Cosa c’entra tutto questo con Apple? C’entra, c’entra tantissimo. Vediamo perché.

Una domanda di coerenza

Apple, cioè il suo amministratore delegato Tim Cook e il suo consiglio di amministrazione che lo ha nominato per nome e per conto degli azionisti che rappresenta, avrà il coraggio di proporre una mossa simile? Apple diventerà mai un’azienda non profit che ha come obiettivo non solo il miglioramento della vita delle persone tramite la vendita di prodotti e servizi digitali che siano genericamente “una bicicletta per la mente”, e contemporaneamente prendersi cura ancora più attivamente del nostro pianeta?

La domanda, lo capirete, è retorica, ma solo fino a un certo punto. Nel senso che l’esempio di Patagonia, la riga segnata per terra da Choiunard (che a differenza di Cook è non solo la guida ma anche il proprietario, con la sua famiglia, dell’azienda che ha fondato) è molto difficile da varcare. È una riga che richiede qualcosa che forse Steve Jobs avrebbe potuto avere, ma che certamente Tim Cook, pur essendo più coerente e sensibile, probabilmente non potrò raggiungere.

L’orgoglio di una generazione

Tim Cook è leggermente più giovane di quanto non lo sarebbe Steve Jobs se fosse ancora vivo: del 1960 Cook, del 1955 Steve Jobs (che era coetaneo invece di Bill Gates, nato anche lui nel 1955). Invece, Yvon Chouinard appartiene completamente a un’altra generazione: è nato nel novembre del 1938 e lui la seconda guerra mondiale da bambino l’ha intravista. Soprattutto, fa parte di quella generazione di “giovani” che tra gli anni cinquanta e sessanta negli Stati Uniti hanno creato la contro-cultura. Chouinard viene definito dal New York Times un “eccentrico scalatore che è diventato un miliardario riluttante grazie al suo approccio non convenzionale al capitalismo”, uno che “ha ceduto la sua azienda” e ci ha pagato anche 17,5 milioni di tasse sulla donazione per garantire “la massima quantità di denaro alle persone che si impegnano attivamente per salvare il pianeta”.

Chouinard è stato una sorta di hippie vero, che ha vissuto con intensità la cultura dell’alpinismo alternativo californiano, trasformando una passione per la natura e la vita all’aperto in un business quasi per caso e poi decidendo di farlo funzionare secondo le sue regole e non quelle del mercato. Vicino alla famiglia che ha creato l’altro grande marchio californiano dell’abbigliamento tecnico e per la montagna, cioè North Face, la Patagonia di Chouinard si è invece sempre contraddistinta per essere genuinamente e veramente impregnata di quei valori personali oltre che aziendali che molte aziende vantano ma poi nel concreto, nel modo con il quale razzolano, evitano accuratamente.

Chouinard appartiene a quella generazione pre-baby-boomers, a cui invece appartengono Steve Jobs e Tim Cook, che è emersa dalla devastazione della guerra per costruire, e non per consumare come i Baby Boomer (nati fra il 1946 e il 1964)). Il suo è un ritorno alla purezza e lucida follia che ha creato il mito della Silent Generation (dal 1928 al 1945), quella successiva alla G.I. Generation (nati dal 1901 al 1927), la generazione che ha fatto e vissuto il Novecento sia negli Usa che in Europa (Italia compresa) combattendo la Seconda guerra mondiale, almeno secondo le teorie delle generazioni di Strauss e Howe.

Jobs invece appartiene a una generazione molto più individualista ed edonistica, che ha avuto l’intuizione di creare e costruire il futuro digitale del pianeta, ma che in realtà ha vissuto la fase attiva della sua vita in uno dei periodi più relativamente ricchi e pacifici della storia, con un finale sia dell’ambiente (radicale peggioramento climatico) che della società (convenzionalmente dall’11 settembre, con la guerra al terrorismo) piuttosto travagliato da lasciare alle generazioni successive.

Apple, un giorno farai anche tu come Patagonia?
Yvon Chouinard – Screenshot da The Simplest Solution and 180° South

Dare via la propria azienda: come si fa?

Chouinard ha innovato non solo nel modo di concepire gli strumenti e l’abbigliamento per la montagna, non solo nel modo di fare affari e di vendere (e riparare) i suoi prodotti, ma anche nel modo con il quale assicurare una vita coerente alla sua azienda dopo la sua dipartita e proprio quando le cose si fanno toste. Ma come si fa a dare via la propria azienda? Quali sono le procedure e le tecniche?

Patagonia, spiega il *New York Times*, continuerà a operare come società privata a scopo di lucro con sede a Ventura, in California, vendendo ogni anno giacche, cappelli e pantaloni da sci per un valore di oltre 1 miliardo di dollari. Ma i Chouinard, che hanno controllato Patagonia fino al mese scorso, non sono più proprietari dell’azienda. In agosto, infatti, la famiglia ha trasferito irrevocabilmente tutte le azioni con diritto di voto dell’azienda, pari al 2% delle azioni complessive, in un’entità di nuova costituzione nota come Patagonia Purpose Trust. Il trust, che sarà supervisionato dai membri della famiglia e dai loro consulenti più stretti, ha lo scopo di garantire che Patagonia mantenga il suo impegno di gestire un’azienda socialmente responsabile e di distribuire i suoi profitti.

La spiegazione di Chouinard: “È passato mezzo secolo da quando abbiamo iniziato il nostro esperimento di business responsabile. Se vogliamo sperare di avere un pianeta vivo e prospero tra altri 50 anni, è necessario che tutti noi facciamo il possibile con le risorse che abbiamo. Come uomo d’affari, nonostante non abbia mai voluto esserlo, sto facendo la mia parte. Invece di estrarre valore dalla natura e trasformarlo in profitti, useremo la prosperità generata da Patagonia per proteggere la vera fonte di ogni ricchezza. Stiamo facendo della Terra il nostro unico azionista. Sono seriamente intenzionato a salvare il pianeta”.

Da dove viene Apple

Apple ha posizioni fortissime nell’ambiente oltre che nella privacy: piani ambiziosi, decarbonizzazione, riciclo, rispetto dell’ambiente ai massimi livelli, riduzione di tutto pur continuando a perseguire gli obiettivi di crescita e di aumento del fatturato e soprattutto degli utili. Ma non è stato sempre così.

La svolta ambientale fa parte certamente della cultura della California anni Settanta di Jobs faceva parte e dalla quale è nata la Silicon Valley: un mix di ambiente, inclusività, musica rock (Grateful Dead) e droghe più o meno leggere (il peyote che Steve Jobs consigliò a Bill Gates di provare). Tuttavia, è stato uno schiaffo dato in un report di sostenibilità dei prodotti Apple (in particolare i monitor) all’inizio degli anni Duemila, scritto da una associazione ambientalista, a ferire nell’orgoglio Steve Jobs. Il co-fondatore di Apple nei primi dieci anni del nuovo millennio è stato al suo massimo e ha continuato a creare innovazioni una sull’altra.

Il suo stesso modo di presentarsi e parlare era centrato sull’idea di fare cose intelligenti in maniera semplice e analitica. Jobs, per i cronisti che lo seguivano, era una specie di uomo del marketing, un grande venditore, ma anche una specie di filosofo romano capace con grande pragmatismo di spiegare la sua interpretazione del mercato e il modo con il quale lui intendeva sfruttarlo per innovare. Idee intelligenti che pensò di mettere anche nell’ambiente.

La risposta di Jobs

Dopo aver avuto un rating molto basso per la sostenibilità dei suoi prodotti Jobs decise che in questo settore bisogna innovare “come fa Apple” e cambiare le regole del gioco. Quindi, anziché comunicare agli analisti (come fanno tutte le aziende quotate) l’impatto dei prodotti tali e quali, decise di comunicare tutto: l’impatto della produzione diretta, dei fornitori, della loro produzione, dell’azienda dal punto di vista uffici e negozi, sino alla gestione dello smaltimento. Il ciclo di vita dei prodotti che, essendo per Steve Jobs l’azienda Apple un gigantesco prodotto, comprendeva tutto quanto, tra un po’ anche l’impatto delle automobili usate dai dipendenti per andare e tornare dall’ufficio.

Quindi, la grande rivoluzione fu che l’anno successivo Apple batté tutti i record e divenne la peggiore azienda del settore dal punto di vista ambientale: peggio di Microsoft, HP, Oracle, Ibm, Google e di tutte le altre. Solo che così facendo mise a nudo tutto quel che doveva cambiare e migliorare, e da allora ha iniziato un cammino di miglioramento costante e molto rapido che non solo l’ha riportata ad essere una delle aziende tech più green del pianeta, ma ha costretto tutto il settore (e non solo) a cambiare radicalmente il modo con il quale si contabilizza e si rende conto dell’impatto ambientale.

Facendo così Apple certo non è stata Patagonia, ma è stata qualcosa di molto simile. Il punto invece è che, come Jobs ha alzato la posta, adesso l’ha fatto anche Chouinard. Solo che ci vorrebbe uno Steve Jobs che viene punto sul vivo e non un Tim Cook che è un grande ammiraglio ma non è Winston Churchill per poter avere una risposta all’altezza. Per vedere una Apple che crea un trust e vi fa convergere tutte le sue azioni.

Perché Apple non può diventare non-profit

Purtroppo, infatti, l’idea che Apple possa essere coerente sino in fondo e andare un miglio più in là della distanza già enorme che ha percorso per essere una azienda responsabile per il futuro del pianeta non può essere percorso. L’azionariato non lo permetterebbe mai. La logica è quella del profitto e la ricchezza che Apple redistribuisce sotto forma di dividendi e di valore azionario è tale che gli interessi in gioco non permetterebbero mai un’operazione del genere. Anche la cultura di manager ma non di imprenditore geniale e “irregolare” (come Jobs) di Tim Cook non sarebbe mai in grado di fare questo.

Anzi, casomai si potrebbe dire che se Jobs fosse al comando dell’azienda e Tim Cook il suo primo ufficiale, Cook sarebbe anche l’uomo giusto al posto giusto per dare gambe alla visione di un Jobs che vuole rendere non-profit la proprietà di Apple e ridistribuire i giganteschi profitti per salvare il pianeta.

Pensateci: sarebbe un flusso di denaro enorme che chiuderebbe un cerchio aperto con l’idea che le aziende debbano produrre in maniera responsabile, riciclando, non consumando beni ed energia creata da fonti non rinnovabili, riducendo il proprio impatto di CO2 in maniera radicale, promuovendo la salute e il benessere delle persone sia con i propri prodotti che con le proprie azioni.

Sarebbe un bellissimo terzo atto della vita di Apple, ma non è un atto che vedremo mai.

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