Durante l’ultimo MacWorld di San Francisco il tema degli Xserve è stato relativamente in secondo piano. In realtà , mentre Steve Jobs proiettava il video nel quale si mostravano i risultati raggiunti con l’acquisto di 1.100 G5 dual processor, sicuramente qualcuno si chiedeva che cosa potrebbe costare fare la stessa cosa utilizzando i nuovi Xserve.
Generalmente si pensa che Apple venda due prodotti della linea Xserve, cioè la versione 1U mono o biprocessore e Xserve Raid, pensato per lo storage (utile anche ai professionisti dell’editing video o per gli studi di registrazione, per esempio), che ha dimensioni di tre volte maggiori in altezza del semplice Xserve.
In realtà esiste anche un terzo modello di Xserve, che è stato poco pubblicizzato da Apple e che fa il suo debutto con la versione dotata di processore G5. Ha le stesse caratteristiche di base dell’Xserve normale ma è privo di una serie di “accessori”. Quello che colpisce, soprattutto, è il prezzo: 2.999 dollari negli Usa, praticamente il costo di un portatile 15 pollici con tutti gli optional.
Il mercato per questa terza macchina, definita “number crunching”, masticatrice di numeri, è in pratica quello del Politecnico della Virginia: creare cluster estremamente potenti a prezzi molto contenuti.
Le nuove soluzioni trovate da Apple per il settore server, infatti, rappresentano oggi una delle soluzioni economicamente più efficaci e più potenti da un punto di vista delle possibilità di calcolo per molti. Quelle per i cluster rappresentano una ulteriore novità
La disponibilità di macchine in grado di fornire semplicità di implementazione e uso (l’interfaccia di Mac Os X Panther Server Edition offre un vantaggio molto forte ad esempio nell’ambito del settore educational, dove il personale tecnico si deve “improvvisare” integratore di sistemi sempre più complessi ma non proviene dalla formazione dei sistemisti classici) a costi contenuti appare sempre più strategica anche nel nostro paese. Non sono poche, infatti, le attività di ricerca con pochi fondi, i centri scolastici oppure accademici che hanno bisogno di potenziare i loro laboratori con soluzioni all’avanguardia nelle prestazioni ma dai costi di implementazione e gestione estremamente contenuti che permettano, inoltre, di mantenere software Open Source standard rispetto alle contropartite Linux
Apple ha centrato questo obiettivo dal punto di vista dell’offerta. Non solo perché è possibile mettere insieme fino a 48 server nello stesso armadio prodotto da Apple (un’altra novità passata in relativo silenzio nelle ultime settimane, visibile sul sito di Apple Usa), ma soprattutto per il livello di potenza e di costo contenuto delle soluzioni.
Se si guarda infatti alle principali esigenze di oggi anche nel settore Enterprise, si scopre che Apple ha colto il segno su tutta la sua offerta: potenza di calcolo (Xserve G5 ha una performance di 9 Gigaflops contro i 6 Gigaflops di un dual Opteron di Amd a 64 bit da 2 Ghz o un dual Xeon di Intel a a 32 bit da 3,2 Ghz), costo della performance (1 Gigaflop costa con un Xserve Cluster node 361 dollari, mentre per Dell PowerEdge 1750 costa 478 dollari, per iBm eServer x335 costa 540 dollari e per Ibm eServer x325 costa 871 dollari), costo dello storage (1 gb costa su un Xserve Raid di Apple 3 dollari, su un Dell Emc Cx 200 9 dollari, su un Ibm FASt200 3542-1R 24 dollari, su Hp StorageWorks 11 dollari, Sun StorEdge 6120 36 dollari), facilità di implementazione e integrazione (gli Xserve possono gestire ambienti misti Mac-Linux-Pc; l’interfaccia di Apple e i software integrati per Grid e gestione utenze semplicemente non esistono tra i concorrenti), apertura agli standard di mercato, compresi quelli Microsoft (che non sono certo “open”).
La parola, a questo punto, passa al mercato.