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Collegarsi con Wi-Fi / Airport: la situazione degli hot spot pubblici.

Chi legge MacityNet con assiduità  non necessiterà  di queste prime righe di spiegazione e passi pure al prossimo capoverso, per tutti gli altri ci accingiamo a spiegare cosa sia un “hot spot”: grazie al sistema commercializzato da Lucent ed Apple nel 1999, AirPort, lo standard di comunicazione IEEE 802.11b, ovvero WiFi – Wireless Fidelity, è ora massicciamente sostenuto da oltre 140 aziende di hardware, comprese quelle del mondo Wintel, dopo quelle del mondo Mac.

Stiamo descrivendo una tecnologia di comunicazione senza fili con velocità  di trasmissione (11 Mbps) comparabile a quella delle reti “a cavo” Ethernet base 10, che si trovano praticamente ovunque, e a distanze dal punto di trasmissione variabili a seconda dell’ambiente, ma discretamente ampie (circa 50 metri).
La comodità  è non solo quella di poter muoversi liberamente entro il raggio d’azione specifico restando sempre collegati ma la possibilità , quindi, di fornire connessione ad aree dove sarebbe impossibile o troppo costosa la cablatura; tutto ciò corrisponde esattamente ad un “hot spot”, un punto d’accesso alla rete attorno al quale gravitano postazioni (tipicamente computer portatili o palmari, ma non solo) e se ciò è un luogo aperto al pubblico ecco trasformarsi un “hot spot” in “hot spot pubblico”.

Detto ciò dobbiamo ricordare che usufruendo di frequenze radio per trasmettere i segnali, WiFi deve attenersi alle regolamentazioni che ogni paese decreta per l’occupazione delle stesse, non a caso tutti noi italiani ricordiamo quanto quello di AirPort sia stato un percorso ad ostacoli: fino a poco tempo fa la trasmissione wireless sulla relativa banda era soggetta a tasse inutili quanto esorbitanti.

Bene, da un anno chi vuole usare nell’italica penisola AirPort in casa o ufficio non deve far altro che collegare l’opportuno impianto ed apprezzarne le qualità .

Da un po’ di tempo però ci si pone il problema di approntare ed usare degli hot spot in zone aperte al pubblico, ma qual’è il problema? Nessun problema da un punto di vista tecnico: le frequenze sono libere, WiFi è diffuso sufficientemente (da 15 a 18 milioni di utenti globali) e i costi sono minimi… manca la legislazione, come al solito!

Cominciamo col dire che all’estero pare essere legale o comunque, in subordine, sopportato: legale perché, nei paesi più civili, se qualcosa non è esplicitamente vietato allora significa che è permesso; sopportato perché, pur lamentando (gli ISP – Internet Service Provider) che i loro contratti non prevedono fruizioni all’esterno delle aree private o di lavoro, in realtà  non esistono particolari restrizioni e perciò i servizi, ad oggi, funzionano anche nei luoghi pubblici, se il firmatario del contratto ha deciso in questo senso.

In Italia, il proverbiale ritardo del legislatore fa temere chi avesse intenzioni di fornire un servizio di hot spot pubblico in pesanti multe o peggio, se ne deduce che la situazione è paralizzata.
Resta forse da trasformarsi nei carbonari della rete del terzo millennio col metodo del Warchalking, già  oggetto di un nostro precedente articolo?

Proseguite con i nostri test sul campo… sia negli Stati Uniti che in Italia!

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