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Il più bel regalo per il compleanno del Macintosh

Cosa regalare a un computer che ha già tutto? Sì, perché questi trent’anni del Macintosh sono una ricorrenza importante (chi non teme il traguardo dei trenta, quando sta arrivando, e chi invece non lo ricorda con rimpianto quando l’ha ormai lasciato dietro le spalle?) e piacerebbe davvero sapere cosa poter regalare al Mac per ringraziarlo di tutti questi anni assieme.

Le critiche a Steve Jobs, adesso anche vili perché l’uomo non c’è più, sono state tante: lo hanno accusato di essere incapace di guidare un’azienda, e infatti lo hanno cacciato da Apple, lo hanno accusato di essere un ladro (avrebbe rubato nientepopodimenoché l’interfaccia e l’idea stessa del Macintosh), lo hanno accusato di essere sostanzialmente un tiranno cattivo ed umorale, lo hanno accusato di tutto e anche del contrario di tutto (di non capirci niente di informatica, di non sapere come si guida un’azienda, di essere stato sul punto di mollare cose di grande successo) e via dicendo. Eppure, nel giorno del trentesimo compleanno del Macintosh, qualità di mele californiane apprezzata tanto da Jef Raskin quanto da Jobs stesso, un regalo potrebbe essere la moratoria del disincanto, la tregua dei cattivi pensieri, la sospensione del cinismo, per aprire i nostri cancelli della percezione e cercare di vedere un po’ più in là, un po’ più positivamente, un po’ più serenamente.

Allora, proviamo a fare questo esercizio. Proviamo veramente a celebrare il compleanno del Macintosh come si fa nelle famiglie in cui ci si vuole bene e in cui si abbraccia positivamente quanto c’è di buono nella vita, anche quando i ricordi sono velati da un po’ di tristezza. Steve Jobs non c’è più, i cavalieri della tavola rotonda che insieme a lui crearono il Mac (e le cui firme sono inscritte nell’interno del guscio protettivo dei Mac 128k) fanno altro, si sono persi ai quattro venti. È stata una stagione bellissima, la nascita del Macintosh ne è veramente valsa la pena.

Oggi sui giornali online di tutto il mondo, sul sito di Apple, su milioni di blog e sulla “tweetsfera”, sul rapidamente estinguentesi Facebook e su chissà quanti altri mezzi di comunicazione, si stanno scambiando storie e racconti, immagini e celebrazioni improntate all’amore. L’amore per un computer nato non per avidità – di questo penso che tutti dovrebbero dare conto alla banda di pirati raccolti intorno alla bandiera nera issata su una palazzina periferica di Cupertino – ma per la generosità di chi cerca di essere artista e lasciare una tacca nella storia, cambiando la vita delle persone.

Perché sia che si creda che il Macintosh è un computer straordinario, forse uno dei punti più elevati e rappresentativi dell’ingegno umano, sia che si pensi che sia meglio un PC oppure un motorino da 50cc, non si può negare che questa infinita filiazione di prodotti realizzati da Apple nell’arco di trent’anni sono una cosa unica, spettacolare, avvincente. Una specie di film al rallentatore, che mostra la crescita del progresso tecnologico attraverso la passione e la fatica di veri talenti che hanno lavorato in maniera convergente (anche se alle volte un po’ episodica, soprattutto nella prima parte degli anni Novanta) alla creazione di macchine via via sempre più potenti e raffinate, adeguate a scopi per i quali sono state progettate e capaci di stupire chi le utilizza prima ancora di chi le vede utilizzare.

La lista delle innovazioni dei Mac, anche in tempi di apparecchi Post PC e di iPod, iPad e iPhone, è quasi infinita. Dal primo modello che ha cambiato il modo in cui il mondo immaginava l’esperienza personale con il computer, con l’informatica, sino ad arrivare ai modelli che lentamente hanno continuato a far evolvere in maniera progressiva la qualità del rapporto che lega l’uomo alla macchina digitale.

L’invenzione dell’iMac, e il concetto che sta dietro a questo “all-in-one”, così come l’ideazione degli iBook, dei MacBook, degli Air, è frutto di una saggezza, di una sapienza matura e di una voglia giovanile di prendersi i rischi che basterebbero a costruire un plotone di start-up. Sono poche le aziende, per quanto grandi e multinazionali (ed Apple non è stata tale a lungo) che sono riuscite a mettere assieme una filza paragonabile di prodotti innovativi, sistematicamente migliorativi. Alle volte anche rivoluzionari.

Celebrando i trenta anni del Mac, e augurandogli altri cento giorni come questo se non di più, c’è una considerazione che si può fare con quello che nel tempo è diventato il migliore amico di tanti di noi, il compagno intimo e privato grazie al quale abbiamo fatto il nostro lavoro, ci siamo divertiti, abbiamo passato il tempo (spesso anche perdendolo in posti destinati all’estinzione rapida come i social), abbiamo fatto cose e più di recente visto gente, e quella considerazione è la seguente: il Mac merita un regalo, un riconoscimento, un attestato della nostra stima, amore e passione che ci lega a questo computer che, tutto sommato, è il simbolo che rappresenta Apple stessa.

Quale miglior regalo allora se non un Mac Pro? Questo sì che è un passo in avanti, una ulteriore evoluzione del concetto di Macintosh a partire dall’idea che si tratti di uno strumento potente e veloce, innovativo, destinato a rendere fattibili cose che la creatività tradizionale supportata da tecnologie di medio livello non permette.

Permettete al vostro cronista di rallegrarsi di questa idea: il computer che sarebbe piaciuto a Steve Jobs e che rappresenta la perfetta incarnazione, l’epitome del Macintosh nella sua forma migliore. Un computer che non è certamente per tutti, perché il suo scopo è un altro, ma che ha una scintilla unica. L’anima, forse, o comunque la genialità del Macintosh, di cui è l’ultima incarnazione. Regaliamolo metaforicamente al Mac e celebriamo serenamente questa ricorrenza. Date retta a un vecchio, umile cronista: ne vale la pena.

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