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Un iPhone, una musicista, la Grande Mela, uno sguardo fotografico: il caso di Maria Sartori Spencer

Lo sappiamo. È avvenuta una quasi rivoluzione antropologica da quando un dispositivo tascabile è stato capace di riunire in sé le prestazioni di un computer a quelle di un telefono, garantendo accesso alla rete e di conseguenza all’intero sistema di comunicazione e condivisione globale. E lo sappiamo. Quello che negli anni ‘90 poteva sembrare un’innovazione tecnologica elitaria, destinata solo ai piani alti di certe aziende, oggi è diventato un nuovo modo di stare al mondo, di relazionarsi con la realtà, di esprimerla, trasformarla, crearne nuova.

Registrare, produrre, riprodurre, modificare dati di qualsiasi natura e poi mandarli in rete. Liberamente. Ma soprattutto, catturare, trasformare e condividere immagini. Immagini del mondo. Immagini di sé.  È questa una delle prassi più praticate. È questo il fenomeno più radicalmente pop che in modo sempre crescente rivoluziona i parametri della comunicazione e con esso il mondo dell’arte visuale e la fotografia digitale.

Una rivoluzione iniziata nel 2007 con l’avvento dell’iPhone 2G e la sua fotocamera da 2 megapixel. Un processo che continua con l’evoluzione e il costante perfezionamento dei dispositivi di nuova generazione e suoi derivati – app, communities, blog social network – fino al punto da introdurre nuove parole nel lessico mondiale. Una per tutte: iPhoneography, letteralmente l’arte di creare foto con un iPhone. E da qui contest, premi, reportage, pubblicazioni, siti, tentativi di definizione stilistica, corsi, scuole, dibattiti. Ma la faccenda è tutt’altro che contenibile e – nella magia dello sharing – non smette mai di sorprendere.

È il caso del fenomeno fotografico portato alla ribalta in Calabria lo scorso 17 maggio – in occasione della Notte Europea dei Musei 2014– dalla galleria Pramantha Arte con una mostra di 30 stampe di grandi dimensioni e 4 installazioni audio-visuali (con tanto di suoni ambientali e vocalizzi spontanei), a cura di Maria Rosaria Gallo, dal titolo inequivocabile: New York on the thread of order and chaos (New York sul filo di ordine e caos). Artista scovata e seguita su Facebook dal direttore della galleria Antonio Bruno Umberto Colosimo.

Lei si chiama Maria Sartori Spencer ed è una musicista jazz di origini italiane, nata a Treviso nel 1960, che si trasferisce a New York nel 1994 per inseguire il suo più grande istinto: la musica. Compone, canta, lavora e fa la mamma. Il tutto in una frenetica e ibrida routine newyorkese, a destabilizzare la quale – da qualche tempo – è arrivato prepotente il re degli smartphone: l’iPhone nella versione 4S. Uno strumento in cui Maria Sartori Spencer ha scoperto un nuovo contatto creativo con la vita di tutti i giorni e – soprattutto – un nuovo modo di esplorare la sua passione per il ritmo. Questa volta non con la voce, ma con lo sguardo.

«Tutto ciò che provo a fare quando scatto una foto – dice Maria Sartori – è di cercare l’ordine sottinteso al caos e il caos sottinteso all’ordine delle cose; cioè, applico alla fotografia lo stesso approccio che si applica nell’improvvisazione, poiché esiste un ritmo, un’armonia e una melodia nei suoni come nella nostra esperienza visiva quotidiana. Abbiamo solo bisogno di vederli e di sentirli».

E con questo originale approccio Maria Sartori Spencer – dalla prospettiva del suo quotidiano attraversamento di un segmento di città, partendo da Brooklyn e arrivando alla United Nations Plaza – iPhone alla mano, racconta una New York insolita, quasi demitizzata. Un racconto in cui – come afferma il curatore della mostra – «scompaiono la frenesia frastornante, lo skyline sensazionale, le luci ipnotiche, le piazze affollate e la cartellonistica pubblicitaria. Una New York legata alla personale e libera esperienza dell’artista che – incurante di qualsiasi etichetta o vincolo narrativo – salta dal paesaggio urbano alla street photography, da un linguaggio astratto e oggettivo a un linguaggio espressionistico e soggettivo, preoccupandosi solo di registrare i percorsi battuti dai suoi occhi, e di mettere alla prova la sua capacità visiva, giocando con lo sguardo come se giocasse con la voce: solfeggiando, intonando scale cromatiche e saltando da un’ottava all’altra».

E, in effetti, le foto di Maria Sartori Spencer si mostrano principalmente come pura esperienza percettiva dell’artista. Un’esperienza quotidiana vissuta nel tempo di un’ora di spostamento (in andata e in ritorno per e dal luogo di lavoro) raccolta in situazioni, scorci, impossibili riflessi, altezze ribaltate, geometrie opposte e contrastanti, velocità e prospettive che probabilmente non potrebbero essere colte – nelle medesime condizioni – da una semplice macchina fotografica.

«Posso paragonare il mio iPhone a un tappeto magico e a una tavola da surf. Realtà, superfici, profondità, ombre e luci possono essere catturati ovunque – e in qualsiasi momento e condizione – semplicemente spostando e allungando il dispositivo finché non trovo l’angolo che si adatta al mio occhio», dice Maria Sartori Spencer.

Una bellissima metafora che rende l’idea di come l’iPhone (e lo smartphone in generale) abbia innescato una trasformazione nel campo espressivo della fotografia digitale probabilmente inarrestabile. Una metafora che sicuramente piacerebbe alla Apple. E un caso – quello di Maria Sartori Spencer – che pare incarnare alla perfezione l’ultimo slogan con cui si accompagna l’iPhone 5S: You’re more powerful than you think.

 

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