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Apple rischia di perdere Johny Srouji, è l’architetto dei processori

Johny Srouji, vice presidente senior di Apple responsabile hardware technologies, di fatto l’architetto che sta dietro a tutti i processori di iPhone, iPad, Mac, forse il più importante dirigente dell’azienda in termini di sviluppo dei nuovi dispositivi, starebbe prendendo in considerazione l’idea di lasciare Cupertino nel prossimo futuro.

A riferirlo è Bloomberg citando non meglio precisate persone a conoscenza della situazione.  Srouji avrebbe comunicato a Tim Cook l’intenzione di andarsene e non per ritirartsi come Jeff Williams, Kate Adams o Lisa Jackson, ma per lavorare per un’altra azienda se lascerà l’azienda di Cupertino.

Scenario da incubo

Il passo sarebbe clamoroso e dolorosissimo. Srouji come detto è una figura storica (qui raccontiamo la storia di come è arrivato a Cupertino) la cui perdita per altri lidi rappresenterebbe un colpo difficilmente parabile. Tutti i pezzi di silicio integrati in iPhone, iPad, Apple Watch e Apple TV sono modellati dal suo team che ha contato su di essi per la rivoluzione che la Mela ha condotto in questi anni. La transizione dei Mac verso Apple Silicon, il chip-modem dei Apple, e i chip C1 e N1 visti nei recenti prodotti Apple sono anche merito suo.

Per trattenerlo in azienda, Apple avrebbe offerto “sostanziosi” pacchetti retributivi e maggiori responsabilità; è stata ventilata anche la possibilità di una promozione a Chief Technology Office, posizione che lo renderebbe il secondo dirigente più importante in azienda.

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Ma questo comporterebbe la promozione immediata di John Ternus a CEO, accelerando un processo che è nei piani ma non con le tempistiche che questa decisione comporta.

Da più parti circolano indiscrezioni secondo le quali l’attuale CEO di Apple, Tim Cook, lascerà l’azienda nel 2026, scelta che sembra confermata da notevoli cambiamenti che stanno avvenendo ai vertici nelle ultime settimane: ha lasciato Alan Dye (il responsabile dell’identità visiva delle interfacce che hanno definito i prodotti recenti della Mela), John Giannandrea (chief AI) e tra poco lasceranno l’azienda anche Kate Adams (consulente legale) e Lisa Jackson (vice presidente responsabile ambiente, strategie e iniziative sociali).

Ricambio frutto di età e delusione

A luglio ha lasciato anche Jeff Williams, considerato il braccio destro di Cook (era indicato fino a non molto tempo addietro come “papabile” al futuro ruolo di CEO). L’ondata di pensionamenti è legata, tra le altre cose, alla realtà demografica: molti dei dirigenti senior sono presenti in azienda da decenni, hanno più o meno la stessa età, intorno ai 60 anni, e l’avvicinarsi del pensionamento di Cook è per molti di loro un motivo per pensare anche al loro collocamento a riposo.

Ma in realtà la frattura più profonda che sta terremotando i vertici nasce proprio dove l’azienda non poteva permetterselo: l’intelligenza artificiale. I ritardi nei modelli linguistici, il nuovo Siri che continua a slittare, le funzioni annunciate in pompa magna ma ancora lontane dalla maturità e la dipendenza crescente da tecnologie esterne come Google Gemini hanno creato un clima di incertezza e insoddisfazione.

Il punto di svolta ha un nome preciso: Ruoming Pang. La sua uscita — inattesa, pesante, immediatamente percepita come un segnale allarmante dentro l’azienda — ha fatto capire a tutti che qualcosa si stava sgretolando nel cuore dell’AI Apple. Pang non era un dirigente in vetrina, ma il responsabile dei modelli linguistici: la persona che, più di chiunque altro, poteva guidare la transizione verso un’Apple capace di competere davvero nei sistemi conversazionali avanzati.

La sua partenza ha innescato un effetto domino. Tom Gunter, Frank Chu e un gruppo consistente di ricercatori hanno seguito la stessa strada, attratti da Meta e altre realtà che in questo momento offrono velocità, risorse e margini di sperimentazione che Apple sembra faticare a garantire

Il morale nei team si è abbassato e la struttura si è assottigliata nel momento più delicato, proprio quando la concorrenza è più aggressiva e i prodotti futuri — dagli assistenti ai robot, fino agli occhiali smart — dipendono da un’AI solida e autonoma.

La stessa partenza di Alan Dye, responsabile delle interfacce dei sistemi operativi, viene letta come un effetto collaterale della crisi dell’AI: nell’articolo di Gurman si spiega che il suo addio nasce anche dalla frustrazione per l’incapacità di integrare rapidamente l’intelligenza artificiale nei prodotti, segno di un rallentamento che ha finito per investire perfino il cuore creativo dell’interfaccia Apple.

Ed è proprio dentro questo quadro instabile, fatto di ritardi nell’AI e fughe eccellenti, che pesa ancora di più il rischio di perdere Johny Srouji, l’architetto dei chip Apple: la possibile uscita del custode del silicio metterebbe in discussione anche le fondamenta stesse su cui l’azienda ha costruito il proprio vantaggio competitivo.

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