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Napster nel college? Agli studenti Usa non piace…

Alla Rocherster University non un solo studente ha comprato un brano sul negozio online di Napster durante il semestre invernale 2004, scrive il giornale online britannico The Register. Questo, nonostante il rumoroso accordo per offrire una “esclusiva” all’università  che avrebbe dovuto costituire l’unica alternativa possibile al download illegale.

L’alternativa c’era, invece, ed è stata frequentata con passione dagli studenti, secondo The Register. Si tratta dei due negozi online, iTunes Music Store e MusicMatch. Entrambi hanno fornito cataloghi più ampi, interfacce più amichevoli e soprattutto una gestione dei DRM, i diritti di proprietà  del bene digitale, considerati più favorevoli dai ragazzi dell’università  americana.

L’attacco di Napster a iTunes soprattutto era basato sull’idea di affitto a prezzo fisso della musica anziché di vendita con micropagamenti (come accade nel negozio di Apple). Napster offriva uno sconto sul costo di 9,95 dollari al mese che consentiva un accesso parzialmente limitato al catalogo online per scaricare musica, facendo leva sul fatto che la concorrenza di Apple per “riempire un iPod costringe u clienti a spendere 10 mila dollari di micropagamenti”.

La politica della tariffa flat di Napster, scelta come alternativa più recentemente anche da Microsoft per il proprio negozio di musica online, prevede infatti in sintesi l’idea che con un abbonamento si possono scaricare quasi tutti i brani online, che è poi possibile ascoltare per lungo tempo a condizione di rinnovare sempre l’abbonamento. Altrimenti il DRM contenuto nei file musicali si blocca e questi divengono inutilizzabili.

A parte l’appeal di iPod – non compatibile come formato con i brani di Napster – che ha sicuramente contribuito all’insuccesso dell’offensiva della musica “flat”, vale forse la pena di fare un’altra considerazione. Solitamente i beni si vendono pagando un prezzo forfettario che ne consente oltre al possesso (non temporaneo) la proprietà . Invece i servizi si pagano solitamente “flat”, nelle situazioni di convenienza per il cliente, e si possono usufruire senza limitazioni o con alcune limitazioni per il periodo di tempo in cui si è abbonati.

La confusione, per cercare di forzare il mercato a favore di chi è fornitore, deriva dal fatto che si è cercato di spacciare per un servizio quello che in realtà  è un bene. Cioè, la naturale propensione del pubblico a comprare il possesso e la proprietà  (seppure limitata in termini di copia e via dicendo) del bene canzone anziché considerare l’accesso al negozio online di musica un servizio per il quale si paga un fisso mensile e che garantisce l’esperienza musicale solo sino a quando si continua a pagare l’affitto.

Questo secondo approccio non viene considerato a quanto pare in maniera favorevole dal consumatore anche perché questi probabilmente pensa: “Se domani Napster fallisce, tutta la musica che ho pagato per ascoltare che fine farà ?” e la risposta suona in maniera fortemente discordante rispetto all’esperienza di acquisto del bene fisico come un Cd magari di una etichetta minore che poi successivamente fallisce e va fuori catalogo.

Nell’ultimo trimestre del 2004 Napster ha riportato perdite per 24 milioni di dollari e il futuro dell’azienda con l’attuale modello di business non sembra particolarmente roseo. Considerazioni simili vengono fatte per Real e per i colossi come Microsoft che hanno annunciato l’intenzione di perseguire un modello simile in tutti i settori (come quello delle suonerie e della musica per i telefonini) in cui sono entrate o stanno per entrare.

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