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“Profondo Blu”, un thriller nel mondo degli hacker

Questa settimana, distraiamoci un po’. Anziché cercare manuali o storie dedicate alla nostra piattaforma preferita, il Mac, tuffiamoci nel mondo della letteratura d’evasione. Ma con una accortezza: in molti, negli ultimi anni, hanno provato sia al cinema che con i romanzoni thriller a raccontare storie plausibili ambientate nel mondo dell’informatica e – soprattutto – degli hacker. Ma non c’è riuscito praticamente nessuno…

Non stiamo parlando dei romanzi di fantascienza degli anni Ottanta di William Gibson, il papà  del Cyberpunk e l’autore che ha inventato dal niente il futuro che in parte stiamo vivendo adesso con i suoi anti-eroi, i cow boy della consolle. Abbiamo invece in mente le decine di “americanate”, come viene spesso da dire, che per un genuino appassionato di informatica urlano vendetta in tutti i modi. Imprecisioni, errori, leggerezze, fraintendimenti di che cosa sia un computer, a cosa serve e come lo si possa utilizzare, e soprattutto gli hacker, croce e delizia della nostra società  che li dipinge come creature di fantasia quando, nella realtà , sono molto più semplici di quanto non si creda.

Ogni tanto, però, andando a pescare in qualche libreria, anche la letteratura di evasione classica, cioè il genere del thriller, riserva qualche piccola perla. Come questo romanzo di Jefferey Deaver, scrittore già  abbastanza noto (suo “Il collezionista di ossa” dal quale hanno tratto anche un bel film) che ormai ha un paio di anni, visto che è uscito nel 2001, ma ha conservato intatta tutta la suspance di una buona storia ben strutturata e soprattutto ben documentata.

Il primo punto a favore del romanzo di Deaver è l’ambientazione. Una Silicon Valley fatta di grandi aziende lasciate sullo sfondo (come la Sun e Apple, ovviamente) e di tanti colori. Il colore delle strade e delle scuole, dei vecchi magazzini dove lavorano i poliziotti dell’unità  crimini informatici, delle villette di San José e dei centri di questa contea americana così diversa dal resto degli Stati Uniti.

Poi, i personaggi. Chi lo dice che uno scrittore mainstram non sappia cos’è un hacker? Certo, quelli che compaiono nel romanzo oltre ad essere personaggi di fantasia sono anche dotati di qualità  da superuomo sulla falsariga di centinaia di poliziotti e avvocati resi celebri da migliaia di film e romanzi di suspance. Ma sono hacker credibili, che dialogano e si basano su una conoscenza reale della cultura e della società  informatica che ha preso le mosse dai laboratori delle università  statunitensi negli anni Sessanta e Settanta.

Infine, la tecnologia. Il romanzo, bisogna ammetterlo, è “windowscentrico”, con poche concezioni a Unix e praticamente nessuna a Linux e Mac Os. Ma è anche la realtà , soprattutto tra i ragazzini americani (i protagonisti viaggiano sui trent’anni, quindi a maggior ragione lontani dalla rivoluzione di Apple negli anni Settanta e inizio Ottanta e poi da quella che possiamo vedere a cavallo del bienni 2002-2003) che crescono come smanettoni e come tali forgiano involontariamente l’immaginario del “maghetto” del computer che – per esempio – nel cinema Usa è stato fotografato con il film “Wargames” degli anni Ottanta. Però, nel thriller di Deaver la tecnologia c’è ed è quella vera, come è vera anche la metodologia. Certo, le connessioni a Internet attraverso i telefoni cellulari sembrano più veloci di una Adsl, e i programmi chiave, le “armi” dei delitti, non esistono. Ma sono tecnicamente plausibili, come sono plausibili gli ambienti e la cultura da cui gli hacker fuoriescono.

La storia, perché dopotutto pur sempre di un romanzo stiamo parlando, è ben godibile. Senza voler rovinare a nessuno il piacere della lettura delle quasi 450 pagine molto scorrevoli, possiamo dire che comincia tutto con un hack: un uomo in un bar si avvicina a una donna. E’ un suo lontano conoscente, che si ricorda tutto di lei: come si chiama, dove abita, quando si sono visti, e mille dettagli personali. In realtà , è una raffinata e mortale forma di “social engineering”, che prelude ad un efferato delitto. E dopo questo, l’omicida conosciuto come Phate continua la sua escalation di hacks nel mondo reale (ma sarà  reale il mondo per una mente malata abituata a vivere dentro il “profondo blu” della rete?), cioè di omicidi sempre più complessi. Contro di lui, un poliziotto informatico, un poliziotto vecchio stile e un ex-hacker ancora in prigione ingaggiano un duello che, mai come in questo caso, possiamo definire “mortale”. Vale la pena staccare gli occhi dal computer e dedicarsi un po’ a questo romanzo. Senza dimenticare quello che scrive alla fine del romanzo Deaver: “La prima volta che il tuo computer fa le bizze, non preoccuparti. Problemi di ordinaria amministrazione. Sono certo che non corri alcun pericolo. …Probabilmente.”

Jeffery Deaver, Profondo Blu, Sonzogno editore, 17,56 euro

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