In giapponese una parola, Gaijin, indica lo “straniero”. E contemporaneamente ha il significato di “barbaro”. Storicamente, questo è stato l’atteggiamento (inconscio, sicuramente) del popolo del Sol Levante. Gli stranieri sono esseri diversi, da tenere in qualche modo lontani. Adesso, un grande tabù del mondo del business cade, con la nomina di un britannico come Ceo (amministratore delegato) del colosso Sony. Anche se, a ben guardare, il cambiamento è meno epocale di quel che potrebbe sembrare.
La casa creata da Akio Morita prima della Seconda guerra mondiale con un nome che è un mix tra il latino Sonus e Sonny Boy (vecchia espressione americana per indicare genericamente i ragazzini) e che durante il conflitto del Pacifico produceva gavette riscaldate elettricamente per le truppe dell’Impero, è la meno giapponese tra le grandi dell’Arcipelago.
Da sempre a vocazione internazionale, ha giocato su tutti i mercati fin da subito, ponendosi come una alternativa significativa alle grandi americane ed europee nel settore dell’elettronica di consumo. Ma nel corso degli anni, insieme ai grandi successi, si sono accumulati anche gli errori e le indecisioni. Non molto tempo fa il vertice della società aveva fatto un vero e proprio “mea culpa” riguardo gli errori nel settore della musica digitale via Internet, a causa dei conflitti tra le differenti divisioni e il desiderio di guidare il mercato con tecnologie proprietarie (memory stick, minidisc e via dicendo).
Adesso, il sessantatreenne Stringer va a sostituire Nobuyuki Idei, dopo un passato come giornalista e direttore della Cbs e dal 1997 come uomo Sony (suo il ruolo chiave nell’acquisto dello scorso anno del colosso cinematografico Mgm) mentre esce di scena anche il numero due, Kunitake Ando, che viene sostituito da un giapponese, Ryoji Chubachi.
Il cambio al vertice, che arriva come un fulmine a ciel sereno soprattutto per quanto riguarda la nazionalità del sostituto, potrebbe anche influire sui rapporti tra la casa giapponese ed Apple. Steve Jobs non ha mai nascosto la sua ammirazione per la Sony, e i rapporti, come si è visto anche all’ultimo Macworld di gennaio, sono in parte amichevoli. Anzi, Sony ed Apple sono quel che si definisce “frenemies”, un mix tra friends (amici) ed enemies (nemici nel senso di competitor sul mercato). Vedremo se il cambio al vertice della leadership di Sony influirà più sull’uno o sull’altro degli aspetti.