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Un sogno (im)possibile: e se Apple comprasse Disney?

Mettiamola così: Apple vale 60 miliardi di dollari sul mercato, e non è quotata al suo massimo. Disney ne vale più di 50. Apple ha in cassa 10 miliardi di dollari, seguendo la filosofia di Steve Jobs che non si vive facendo debiti ma tenendo i soldi pronti per scalare o difendersi dalle scalate. Disney ha comprato Pixar, l’altra società  di Steve Jobs, dando un sacco di soldi e soprattutto il 7% di Disney allo stesso Steve Jobs che adesso è il singolo azionista più presente nel consiglio di amministrazione di Burbank.

Facciamo un passo indietro: Steve Jobs viene cacciato da Apple, era il 1985, e per anni cerca, da un lato di ricostruirsi un futuro con NeXT e dall’altro di riuscire con l’aiuto dei suoi amici Larry Ellison (Oracle) e Scott McNealy (Sun Microsystems) di scalare Apple. Alla fine, studia un piano geniale: nel momento di massima debolezza di Apple, allo sbando dopo quindici anni di scelte “parzialmente sbagliate”, si offre come portatore di tecnologie indispensabili per il futuro di Cupertino (MacOsX nato come NeXT) e della sua capacità  di leadership. Per rientrare nel 1997 alla guida come capo “ad interim” dell’azienda, si fa acquisire NeXT e rimettere alla guida della società .

Torniamo ad oggi: Apple vale 60 miliardi di dollari sul mercato, Disney un po’ più di 50. Steve Jobs ha il 7% delle azioni di Disney e 10 miliardi di dollari nelle casse di Apple. Il consiglio di amministrazione di Disney e il suo Ceo, Bob Iger (veterano della casa di Burbank) stravedono per lui, tutti insieme hanno dichiarato che l’acquisizione di Pixar (e dei suoi “cervelli”, attualmente alla guida del settore creativo di Burbank, Lasseter in testa) è una iniezione di creatività  e capacità  di fare.

Proviamo a immaginare uno scenario bello e impossibile: Steve Jobs sta per scalare Disney, unendo alla tecnologia per la produzione dei contenuti quella per la loro distribuzione e la loro fruizione in formato digitale. Cosa lo impedisce? L’antitrust statunitense, forse. Il conflitto di interesse con le altre major cinematografiche e televisive (Disney possiede ABC i cui contenuti sono su iTunes Music Store video americano, insieme a NBC e altre decine di produttori). Magari il desiderio di rimanere focalizzati sul business dei computer.

Eppure, proviamo ancora ad immaginare: Disney è non perfettamente in salute, la sua quotazione al ribasso (per questo il suo valore sul mercato è solo così parzialmente limitato), serve una leadeship forte con una visione, la capacità  di traghettare il business al di là  del futuro dei mezzi digitali e di Internet, aprendo nuove prospettive.

Facciamo un salto nel domani: Disney, Pixar e Apple sotto la stessa guida, credibile a Hollywood come nella Silicon Valley, capace di intuire, disegnare e creare la visione del futuro e la possibilità  di fare business in un mondo in rapido cambiamento nel quale, però, il settore dell’intrattenimento televisivo e cinematografico non sono ancora arrivati alla svolta. Alcuni analisti cominciano timidamente ad avanzare questa ipotesi. Sottovalutando addirittura le entrature di Steve Jobs non solo tra Hollywood e la Silicon Valley, ma anche a Tokio (un anno e mezzo fa sul palco del Moscone Center durante il Macworld c’era il presidente di Sony, due mesi fa c’era Paul Otellini guida di Intel, domani chissà …) e nei centri di potere della tecnologia e dei contenuti che contano.

Insomma, proviamo a usare la fantasia: e se Steve Jobs fosse davvero l’uomo su cui puntare domani? La sua scalata a Disney avrebbe ripercussioni negative o positive sui mercati? I titoli delle due aziende salirebbero o scenderebbero? La società  nata dalla fusione ne trarrebbe vantaggio o ci rimetterebbe? C’è da scommettere che se vi è una possibilità  di fare il salto, facendo “mordere la mela al topo”, per così dire, di sicuro a Cupertino c’è l’uomo giusto per provarci… E’ qualcosa più di una idea, per chi si avventuri a pensarla.

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