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Acquisti in app: un genitore americano vince il primo round contro Apple

Apple perde il primo round della causa intentata da un genitore americano sulla sempre spinosa questione delle in app purchases. Il giudice Judge Edward J. Davila della corte di San Josè in California, dove è in atto la causa legale, ha infatti riconosciuto come ammissibile l’esposto secondo il quale il sistema con cui funziona l’acquisto di elementi aggiuntivi, livelli, bonus, dall’interno dei programmi, è strutturato in maniera da costituire un pericolo per il conto in banca di chi ha un figlio che usa iPhone, iPod touch o iPad.

La vicenda prende le mosse da piuttosto lontano, da alcune denunce pervenute già nei momenti del lancio di questo servizio. In quel momento sul tavolo di Apple sono pervenute richieste di rimborso da parte di adulti che si sono visti, letteralmente, prosciugati i conti in banca dagli acquisti in app dei propri figli. Anche se il sistema con cui funziona il cosiddetto modello fremium  (scarichi gratis un’app, acquisti successivamente servizi connessi ad essa) consente di spendere soldi solo per un tempo ristretto (15 minuti) dopo l’inserimento della password prima di richiederla di nuovo, il tempo concesso è più che sufficiente per spendere decine se non centinaia di euro, visto che alcuni sviluppatori hanno pacchetti da 50 o 70 euro che si possono acquistare ripetutamente in quel frangente.

Secondo il cittadino americano e i suoi legali che stanno conducendo l’azione legale, Apple non solo dovrebbe cancellare questa finestra di 15 minuti visto che o un genitore impedisce del tutto l’acquisto in app oppure deve trattenere con sé il dispositivo per i successivi 15 minuti per evitare acquisti a sua insaputa, ma dovrebbe anche smettere di pubblicizzare le applicazioni come “gratuite”. Infine dovrebbe esserci un percorso di rimborso ben definito in quanto al momento attuale è del tutto impossibile avere certezze su chi deve procedere in questo senso. Non raramente capita che Apple faccia riferimento agli sviluppatori e gli sviluppatori facciano riferimento ad Apple e la vicenda si avviti in un loop infinito.

Apple avrebbe voluto che il caso fosse dimesso, ma il magistrato americano ha ritenuto che, invece, l’azione legale può proseguire. Questo non significa che Apple perderà la causa, ma che se non altro si discuterà di come funziona il sistema in app e forse si potrà cominciare ad avvicinarsi alla risposta ad una domanda cui nessuno ha saputo fornire un riscontro: se è vero che il 65% dei profitti che derivano dalle applicazioni, è generato da acquisti in app, quanti di questi derivano da acquisti di bambini o ragazzi che comprano all’insaputa dei loro genitori e, soprattutto, che cosa può fare Apple per evitare che le decine di migliaia di applicazioni “gratuite” che sono sullo store non siano usate fraudolentemente da qualche sviluppatore come uno specchietto per allodole per spennare qualche (inconsapevole) pollo?

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