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La rete non è uguale dappertutto: negli USA è più veloce

Sono una decina d’anni che il vostro cronista segue le peripezie di Apple dalla prima linea, cioè dagli Stati Uniti. Un sacco di tempo (anche se i veri “veterani” di Macity hanno un’anzianità maggiore di almeno un lustro) e in questo tempo di cose se ne sono viste tante. Anche se una svolta come quella di iCloud, che fa fare al Mac un passo indietro e mette la rete al centro, non si vede tutti i giorni.

Così, sono davvero molte le cose di cui si potrebbe parlare. Ma una soprattutto è interessante e merita qui una certa attenzione; perché avrà – per i motivi che tra un attimo capirete – delle serie ripercussioni sul futuro di tutti noi. Il punto è in realtà semplice, tutti ne parlano, molti ne straparlano, pochi cercano di capire come realmente stiano le cose. Noi qui di Macity già lo facciamo e cercheremo di farlo ancora di più nei prossimi mesi´, però il cuore del problema non cambia. Internet negli USA va di più e (soprattutto) meglio.

È difficile dare una misura, portare una prova, aggiungere un argomento che non sia soggettivo. Però, credeteci, se andate negli Stati Uniti e vi danno accesso a una connessione veloce, la differenza la notate. Anche alla home page di Macity, per dire. Ma non solo. Il punto non è la banda nominale o quella effettiva. Il punto cioè non è la velocità con la quale vengono effettivamente trasferiti i bit. No, il punto è la velocità con la quale rispondono i server che devono passare le pagine web, nel tempo che ci vuole per completare tutti gli orpelli e le appendici che ogni moderna pagina web presenta. Vi siete mai chiesti perché Safari (o Chrome, o Firefox) dicano i produttori che sono diventati così veloci adesso, e alla prova sul campo ci appaiano timidi, ballonzolanti, al limite appannati?

Un motivo c’è: non è la stessa internet. La maggioranza dei server che eroga i servizi sta negli USA, e anche se molte pagine sono ospitate su server europei, i ‘motori’ ad esempio della pubblicità e dei contatori di accessi (che lavorano in sottofondo ma rallentano la distribuzione delle pagine) sono quasi tutti negli USA e da là erogano i loro servizi. Durante la trasferta per San Francisco e la WWDC il vostro cronista si era attrezzato con uno strumento di scorta, nel caso la connessione Wi-Fi fosse venuta a mancare durante il keynote. Si tratta di un personal hotspot di Ericsson basato su rete di Verizon e dotato di connessione 4G LTE. La prova dell’apparecchio, inutilizzabile fuori dagli Stati Uniti visto che la rete usata da Verizon è disponibile solo in quel paese, è stata breve e limitata perché – fortunatamente – la rete alla WWDC 2011 c’era.  Quindi, non vale la pena approfondirla. È necessario comunque ringraziare l’amico Carlo Bellettini di Milano che l’ha generosamente messo a disposizione.

L’apparecchio è molto semplice: si usa collegandosi in Wi-Fi, ha un unico pulsante per accensione e spegnimento. Due ore di autonomia (ma ogni tanto si spegne prima) e ricarica via USB. I tre led segnalano il tipo di collegamento (3G o 4G-LTE e la connessione WiFi) mentre la velocità è buona ma non eccezionale. Sembra insomma un buon collegamento 3G ad alta velocità e non certo una ADSL di ultima generazione. La funzionalità è comunque ottima e le pagine web si caricano che è un piacere. Certo, fare un trasferimento FTP (soprattutto in upload) non è il massimo, ma l’idea è che ci si possa ben accontentare. Proprio questa differenza di tecnologie, la disponibilità di banda e la lentezza mancante nell’accesso alla rete e ai servizi (incluso iDisk e MobileMe, molto più “vivaci” che non dall’Italia), fanno pensare che in futuro il nostro paese dovrà fare un grosso sforzo per non rimanere davvero indietro. Di sicuro, maggiore di quello (non) fatto negli ultimi anni.

Infatti, c’è da vergognarsi tra tariffe esorbitanti per l’accesso a Internet sia in casa che via telefono, hot spot pubblici mancanti, sistemi demenziali di tariffazione e un clamoroso ritardo nella penetrazione dei PC nelle famiglie. Umiliante per gli Italiani in sala al Moscone Center vedere poi Scott Forstall mostrare il grafico in cui, subito dopo la Cina, viene l’Italia come paese con il peggior tasso di penetrazione dei PC nelle famiglie. Imbarazzante parlare con gli amici che vivono in quelle parti maggioritarie d’Italia in cui le connessioni a Internet sono rimaste al 1997, mentre la prossima versione di OS X 10.7 Lion verrà distribuita solo via Internet. Quattro giga di download che per molti saranno praticamente impossibili in meno di due giorni di scarico ininterrotto.

Ed è ancora più umiliante la voce sentita da tecnici (e non verificabile) per cui le batterie degli iPhone durano meno in Italia che non negli altri paesi a causa della cattiva configurazione della rete da parte dei pigri ed esosi operatori (sarà vero? Speriamo di no anche se temiamo di si). Ecco questa è la situazione dell’Italia davanti ad iCloud. Che dire? Sperare che non sia vero non basta più. L’appuntamento è per il prossimo autunno e c’è sul serio da temere che a nostra internet nazionale vada molto peggio di quella degli altri paesi. E che i servizi avanzati e centrati sul web, come quelli di Google e adesso quelli di Apple, per noi rimarranno sempre con il freno a mano tirato. Purtroppo. È il regalo di operatori fissi e mobili avidi e di un paese che non ha voluto investire sulle tecnologie se non con dichiarazioni demagogiche e prive di effetti reali. Adesso il grande nodo della rete viene al pettine.

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