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Se la realtà virtuale diventa l’anima della pausa di lavoro

Immaginate una pausa pranzo. I dipendenti di un’azienda di medie dimensioni, con una palazzina uffici in un centro direzionale e un po’ di sedi e uffici sparsi in altri posti, vanno più o meno tutti a mangiare alla stessa ora. Magari nella saletta aziendale, oppure direttamente al bar sotto l’ufficio. Oppure, si mettono gli occhiali per la realtà virtuale stile Oculus e si ritrovano in un ambiente virtuale con i colleghi delle altre sedi e uffici, chiacchierando e mangiando allegramente.

Questa è una fantasia italiana, anche perché per noi il momento di socializzazione è da sempre culturalmente il pranzo (e la cena). Si diventa amici a tavola. Una proposta del genere non funzionerebbe, se non altro perché è difficile infilarsi il cibo in bocca con gli occhiali per la realtà aumentata. Ma Meta (l’azienda un tempo conosciuta come Facebook) e altri stanno sperimentando modi per far socializzare i dipendenti nel metaverso. Cercano, molto semplicemente, di trovare quella scintilla capace di dar fuoco al meccanismo che dovrebbe ripagare gli investimenti miliardari e convincere le persone ad abbandonare smartphone e altri strumenti di socializzazione mediata dalla tecnologia per quello immersivo. Ci stanno riuscendo?

realtà virtuale

Metaverso e XR

Oggi si chiama XR, la sigla che indica sia la realtà aumentata (AR, cioè gli occhiali che mostrano il mondo con in aggiunta particolari digitali) che quella virtuale (VR, cioè occhiali che bloccano la vista dall’esterno e la sostituiscono con un mondo completamente digitale). Entrambi questi approcci sono disponibili in dispositivi come Oculus di ultima generazione che consentono di vedere in qualche modo il mondo esterno con delle piccole telecamerine e al tempo stesso girare per ambienti totalmente virtuali.

Sappiamo che Meta/Facebook ci ha scommesso il suo futuro e che l’azienda guidata da Mark Zuckerberg, per quanto in fortissima difficoltà reputazionale e in parte anche giudiziaria (varie cause antitrust e per la privacy aperte), in passato è stata bravissima a cogliere prima degli altri il cambiamento. Dopotutto, Facebook era un social su web browser tradizionale da PC e si è convertita alle app con passione prima di altri, quando ancora le app non facevano abbastanza, trasformando l’esperienza social da seduti alla scrivania in qualcosa che si poteva e si può fare con lo smartphone in mano stando in piedi. Come sarà allora il prossimo cambio di postura degli utenti del metaverso?

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Soluzioni in cerca di problemi

Il problema è che ancora non lo sappiamo. Dietro il mondo della XR c’è tantissima ricerca, oltre che investimenti, e aziende che lavorano da tempo alla realizzazione di soluzioni avanzate ad esempio per la mobilità, per il lavoro, per creare i “digital twins”, i gemelli digitali che permettono ai tecnici anche delle aziende italiane specializzate nella meccatronica di manutenere gli impianti costruiti, venduti e installati dall’altra parte del mondo senza doversi recare per forza sul posto. O i soliti chirurghi che fanno complicate operazioni a distanza, usando robot, connessioni 5G e caschi VR.

Tutto bellissimo, ma alla fine il grande pubblico non si emoziona per questo. Non si è ancora emozionato abbastanza per le Tesla di Elon Musk, che sono macchine che vanno un ordine di grandezza meglio di tutto quello che circola su strada e oggettivamente hanno un vantaggio di quasi dieci anni in termini di concezione, produzione, vendita, gestione e nel complesso di economia circolare e sistema di produzione dell’energia solare. Quindi, se non va quello nella scala e nella dimensione con la quale potrebbe, perché dovrebbe andare Meta e il metaverso? Forse perché è una soluzione a un problema che ancora non esiste. Cioè la soluzione al bisogno di ritrovarsi virtualmente con tecnologie e modalità che non sono naturali, non sono condivise, non sono tecnicamente ancora “agili” e sono comunque faticose.

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Divertirsi

Ed ecco che allora entra in scena il piano B: Metaversi per far flanella. Per giocare. Per rilassarsi. Per trovarsi con i colleghi. Le aziende e i primi utenti in tutto il mondo stanno scoprendo che, mentre molto è stato fatto sull’utilizzo della realtà virtuale per il lavoro, comprese le Meta Platforms di Zuckerberg, un’applicazione migliore o almeno più accessibile potrebbe essere una connessione casuale con i nostri colleghi e amici. Stiamo parlando di quella cosa chiamata “chiacchiere alla macchinetta del caffè” che molti di noi hanno lottato per riconquistare da quando i lavoratori della conoscenza in tutto il mondo sono stati dispersi nelle case, negli uffici satellite e negli spazi di co-working a causa della pandemia e dei piani di ricollocamento e internazionalizzazione.

Se l’applicazione professionale più popolare della realtà virtuale si rivelasse davvero essere la socializzazione, le implicazioni potrebbero essere significative. I team a distanza che rischiano di essere frammentati da problemi di comunicazione e isolamento potrebbero essere legati insieme senza la necessità di incontri di persona o squallide videoconferenze (quelle che vengono chiamate sempre più spesso “call” anche dai bambini delle elementari in Dad). Potrebbe aiutare a ridurre alcune delle dinamiche sociali dell’ufficio che danno vantaggi ai dipendenti in sede centrale ma non ad altri in sedi distaccate. Potrebbe persino consentire ai dipendenti di connettersi in modi che non sono possibili anche quando tutti vanno in ufficio.

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Il futuro è un’ipotesi virtuale

Potrebbe, potrebbe, potrebbe. Ma cosa succederà? Ovviamente non lo sappiamo perché nessuno possiede la sfera di cristallo. Quello che si comincia a vedere però è uno sforzo economico sempre più grande per investire in queste tecnologie XR e quindi nei loro modi d’uso. La possibilità di far partire la XR per il tempo libero, per i momento di ozio e socializzazione diventa una ipotesi che Meta sta testando sul campo, per così dire. Tutto va bene, quindi?

No, e questo è un grosso problema, perché le barriere all’adozione potrebbero mantenere questo tipo di socializzazione virtuale ai margini per gli anni a venire. La cosa più ovvia è che i visori VR sono, nonostante la tecnologia in rapida evoluzione, più ingombranti e pesanti di quanto la maggior parte vorrebbe e possono comunque causare disagio fisico. E se la socializzazione in VR si diffonde, inevitabilmente avrà degli aspetti negativi. Pensate ai modi in cui Slack e Teams hanno frammentato la nostra attenzione o al modo in cui la “stanchezza da Zoom” è diventata parte della vita quotidiana di molte persone.

Una manovra di adozione spinta dai big del tech porterà a una fatica, a uno stordimento e a una difficoltà oltretutto costruita attorno a logiche che appartengono a certi tipi di cultura aziendale delle grandi imprese tech della Silicon Valley come Meta e dei colossi della consulenza come Accenture, sempre in prima fila per questo tipo di esperimenti (cioè far girare soldi senza fare niente di produttivo o costruttivo).

Cosa succederà quindi? I pessimisti tra noi lo pensano già da tempo: sta per arrivare un’altra monumentale fregatura, con partite di golf virtuale obbligatorio per tutti i dipendenti raccolti in una sala mensa digitale di fantozziana memoria.

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