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New York Times: ancora Apple nel mirino, questa volta per le strategie fiscali

Dal New York Times parte un nuovo attacco ad Apple. Questa volta al centro di un lunghissimo e strutturato articolo, dopo quello inerenti le condizioni di lavoro dei dipendenti delle fabbriche asiatiche e quello sulla delocalizzazione, ci sono le strategie per minimizzare i costi fiscali dell’attività di Cupertino.

L’inchiesta si fonda, apparentemente, sulle testimonianze di alcune figure specializzate nel disegnare architetture aziendali capaci di ridurre la spesa in tasse che avrebbero lavorato per Apple, e presenta la complessa rete scritta nel corso degli anni fondata su una serie di scatole cinesi, uffici con pochi (o nessun) dipendente in nazioni che offrono massicce agevolazioni sui profitti, trasferimenti di proprietà intellettuali e di capitali. Nulla di illegale e nulla che non facciano altre aziende, specialmente americane, ma qualche cosa che si trasforma in un ritorno enorme per Apple e in una decurtazione massiccia dei profitti che il Governo Americano potrebbe incamerare visto che siamo parlando di una azienda che nel corso del suo anno fiscale potrebbe incamerare 45,6 miliardi di profitti, facendone l’azienda a maggior guadagno sul territorio americano e, assai probabilmente, nel mondo.

Tra le mosse attuate da Apple e presentate dal New York Times c’è l’utilizzo di una sede a Reno in Nevada, un “trucco” perfettamente legale che permette al management della Mela di non pagare la corporate tax che in California è dell’8,4% mentre in Nevada è zero. Ma questo è solo un piccolo elemento di una complessa strategia che ha tra i suoi elementi fondanti il cosiddetto Double Irish With a Dutch Sandwich, un sistema di cui Apple è stata una delle pioniere (viene sfruttato da FaceBook, Google, Microsoft, Oracle e Pfizer tra gli altri) e che usa a suo vantaggio la ridotta tassazione irlandese, dove vengono istituite sussidiarie, un passaggio dei profitti in Olanda, il ritorno in Irlanda e successivamente un approdo in paradisi fiscali nei Carabi.

La Double Irish (qui sotto potete osservare la nostra ricostruzione dello schema generale valido anche per altre aziende) rende possibile reindirizzare i profitti che derivano dalle royalties in Irlanda dove si paga il 12,5% di tasse invece che il 35% degli USA, così che l’Irlanda è la base dove vengono raccolti circa un terzo dei profitti di Apple; il sistema si fonda su due sussidiarie irlandesi che ricevono il denaro e lo dirottano alle Isole Vergini Britanniche dove ha sede la Baldwin Holdings Unlimited di cui l’unico amministratore è Peter Oppenheimer, CFO di Apple; questo dopo un transito in Olanda senza alcun controllo o limitazione visto che stiamo parlando di due nazioni dell’UE.

Double Irish With a Dutch Sandwich italiano

Un’altra strategia usata da Apple è quella di collocare filiali in paesi esteri per beni immateriali, come ad esempio il Lussemburgo per la vendita di prodotti App Store. iTunes SARLS Luxemburg, poche decine di dipedenti in un paese di mezzo milione di abitanti, ha fatturato un miliardo di dollari lo scorso anno usufruendo di basse tasse e raggiungendo tutta Europa.

Secondo Martin A. Sullivan, un economista americano che faceva parte del dipartimento del tesoro, citato dal New York Times, lo scorso anno Apple avrebbe dovuto pagare al governo statunitense 2,4 miliardi di dollari in più in tasse. Complessivamente Apple ha invece pagato 3,3 miliardi di dollari di tasse a livello mondiale, il 9,8% del suo profitto che era stato di 34,2  miliardi di dollari; a titolo di esempio Wal-Mart la più importante catena di supermercati al mondo, ha guadagnato 24,4 miliardi di dollari, pagando 5,9 miliardi in tasse, il 24,4%. Visto che quasi tutti i prodotti Apple sono disegnati in Califoria e il marketing risiede qui, secondo Sullivan almeno il 50% del profitto sarebbe dovuto essere considerato come scaturito da operazioni svolte su questo territorio, invece il 70% viene denunciato come prodotto all’estero.

Apple ha replicato alla richiesta di commenti da parte del New York Times sottolineando di condurre il suo business «con alti standard etici, rispettando le leggi e le regole di bilancio. Apple paga ogni anno un enorme quantità di tasse che forniscono un contributo al nostro governo locale, statale e federale»

L’articolo del New York Times è destinato sicuramente a suscitare polemiche e ad avere un riscontro a livello americano aumentando il livello del dibattito su di un iceberg di cui Apple viene considerato solo la punta, per quanto gigantesca: quello delle strategie di profitto delle aziende americane e in particolare i danni prodotti ai contribuenti. Nell’inchiesta si sottolineano infatti non solo il mancato introito in tasse ma anche le agevolazioni per miliardi di dollari concesse alle aziende che, come Apple operano in California; un fatto che risulterà sicuramente indigesto al contribuente californiano ma anche americano che vede ridurre negli USA l’assistenza anche a fasce deboli come quella per chi è afflitto da handicap o i servizi come l’istruzione, questo mentre le grandi corporations massimizzano i profitti sfruttando tutto quel che concede il sistema fiscale e grazie alle operazioni di lobby si vedono ridurre le tasse.

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