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Steve Jobs, sette mosse che cambiarono Apple per sempre

Un articolo di MacWorld USA ripercorre le decisioni fondamentali che hanno consentito nel giro di pochi anni la rinascita di Apple dal ritorno di Steve Jobs in poi. La casa di Cupertino, lo ricordiamo, quando Jobs fu richiamato come consulente era in serie difficoltà: sotto la sua guida le cose cominciarono a cambiare rapidamente. Ovviamente si tratta di un elenco solo parziale: Jobs si occupava quotidianamente di Apple; quello riportato è l’elenco delle decisioni che più di altre hanno influenzato, rimodellato e contributo a far rinascere la casa della Mela, così come la conosciamo oggi.

Alla guida dell’azienda
La più importante decisione presa da Jobs fu mettersi alla guida dell’azienda. Dopo l’acquisizione di NeXT alla fine del 1996, l’allora CEO della casa di Cupertino, Gil Amelio, convinse Jobs a ritornare in Apple a gennaio del 1997 come consulente, un “mestiere” che (il board lo comprese subito), avrebbe potuto fare al meglio solo rimuovendo Amelio.

Eliminare il superfluo
Prima dell’arrivo di Jobs, Apple vendeva decine di macchine desktop, laptop, server con varianti e sottovarianti. Come se non bastasse oltre a queste, la società produceva stampanti, macchine fotografiche e altri dispositivi e soltanto pochi di questi generavano profitti. Jobs eliminò il 70% dell’hardware e del software su cui lavorava Apple. Il più famoso prodotto eliminato dalla scure di Jobs fu Newton, il PDA che nonostante varie versioni e rivisitazioni non ebbe mai il successo sperato. Jobs fece pulizie e immaginò una semplice griglia con quattro spazi: due per le macchine consumer (che sarebbero state occupate dagli iMac e dagli iBook) e due per le macchine professionali (occupate dai PowerMac e dai PowerBook). Tutto ciò che non era inseribile in questa griglia fu frullato, eliminato, spazzato via. Nel suo primo anno in carica come amministratore delegato, Jobs licenziò 3.000 persone: una decisione dolorosa che però permise ad Apple di concentrarsi su pochi prodotti buoni, anziché su dozzine di prodotti mediocri.

Pulizie in casa
Nel 1996 il consiglio di amministrazione di Apple era intento solo a pensare come vendere Apple al miglior offerente. Al suo ritorno in azienda, Jobs sapeva di aver bisogno di elementi fidati, in grado di pensare positivamente e seguirlo come leader. Nel giro di poche settimane ottenne le dimissioni di molti membri del consiglio, compreso l’ex amministratore delegato Mike Markkula, l’uomo che finanziò e permise la nascita di Apple nel 1977. Al posto dei vecchi elementi, furono ingaggiati amici fidati come il CEO di Oracle Larry Ellison e l’ex VP Marketing di Apple, Bill Campbell. Jobs ristrutturò l’azienda eliminando alcuni reparti, piccoli feudi interni e creando nuovi settori specifici per il marketing, la vendita, la produzione e la finanza.  Prima di accettare l’incarico di CEO, Jobs dovette convincere Amelio ad assumere alcuni uomini chiave di NeXT, come ad esempio Avie Tevanian (la mente dietro OS X) e Jon Rubinstein (Senior VP Hardware Engineering assunto nel 1997). In Apple Jobs volle molti veterani provenienti da NeXT, uomini non solo con grandi capacità ma difficilmente in grado di mettere in dubbio le sue decisioni.

Bocche cucite
Con Gil Amelio alla guida di Apple, le fughe di notizie erano all’ordine del giorno, un modo in molti casi anche per mettere in imbarazzo il CEO e tentare di far cambiare politica all’azienda. Dopo aver accettato la posizione di amministratore delegato ad interim, Jobs vietò in modo assoluto a chiunque di parlare con la stampa. Il divieto, insieme ai licenziamenti prima citati, servì da monito e sedare i dissensi interni. La mania per la segretezza e l’effetto sorpresa hanno aiutato negli anni Apple ad arrivare sul mercato con prodotti attesi, desiderati, a creare curiosità ed essere al centro dell’attenzione con ogni nuovo prodotto presentato. Jobs ha saputo per anni controllare sapientemente i media, creando eventi e attese spasmodiche per ogni nuovo prodotto piccolo e grande.

Seppellire l’ascia di guerra
Prima di essere buttato fuori da Apple, Jobs era il partigiano leader della battaglia che voleva a tutti costi sempre contrapposte Apple a IBM e, per estensione, Apple contro Microsoft, animosità che sono continuate ben dopo il 1985 (quando Jobs si dimise da Apple) e parte della cultura degli uomini di Cupertino. Rimosso dal suo incarico e con tutto il tempo per riflettere, nel 1996 Jobs ammise che la guerra per il predominio nel settore dei PC desktop era terminata e si era oltretutto rivelata controproducente (si spesero soldi ed energie in una battaglia che non poteva essere vinta). Con uno storico accordo voluto e reso noto da Jobs nel corso del Macworld di Boston del 1997, Microsoft investì in Apple acquistando 150 milioni di dollari in azioni, permettendo a Cupertino di respirare e a Microsoft di riportare Office sul Mac e installare per cinque anni consecutivi Internet Explorer come browser predefinito. Jobs si rese conto che Apple poteva avere successo solo lavorando diversamente da Microsoft, in modo differente e non a tutti i costi contro di essa, un modo di vedere nuovo che liberò energie mentali e permise negli anni a venire all’azienda e agli sviluppatori di creare e conquistare nuovi mercati.

Eliminare i cloni
Nel 1994 Apple offrì a terze parti la possibilità di costruire cloni Mac (tra le società che decisero di creare Mac compatibili: Power Computing, Motorola, Radius, APS Technologies, DayStar Digital, UMAX, MaxxBoxx, e Tatun). Con il passare degli anni, ci si rese conto che i sistemi in licenza erano un errore e in realtà non facevano altro che cannibalizzare i prodotti di Cupertino. Al suo ritorno in azienda, Jobs non rinnovò il contratto per la cessione in licenza del nuovo Mac OS 8 (rilasciato nel 1997) ponendo fine all’esperimento dei cloni Mac. Nella visione di Jobs il controllo di hardware e software era parte integrante della user experience, senza contare che la presenza di cloni avrebbe ostacolato la nascita di macchine dal design curato e particolare, annullato l’aura di segretezza dietro la nascita di ogni nuovo Mac ed eliminato l’effetto sorpresa alla presentazione di nuove macchine.

Fiducia a Jonathan Ive
Al ritorno di Jobs in Apple nel 1996, Jonathan Ive era già a capo del design team dell’azienda; stava in effetti pensando di andar via finché, di fatto, Jobs lo convinse a soprassedere. Inizialmente Jobs era alla ricerca di una star del settore da mettere a capo del team in questione ma sembra che Ive e Jobs ebbero modo di incontrarsi, conoscersi, diventare amici e apprezzare entrambi le idee dell’altro. Jobs decise di dare fiducia al giovane (all’epoca trentenne) designer britannico (e ovviamente anche al team che si occupa di design a Cupertino) e vennero fuori idee brillanti, oggetti di culto apprezzati per la loro bellezza e funzionalità.  “Porto nitidamente impresso nella memoria il momento in cui Steve dichiarò che il nostro obiettivo non era soltanto guadagnare, ma anche creare prodotti eccellenti”, ha dichiarato Ive nella biografia di Isaacson su Jobs, “le decisioni che si assumono sulla scorta di una filosofia del genere sono profondamente diverse da quelle che si prendevano allora alla Apple”. Nella maggior parte delle aziende il design è subordinato alla parte ingegneristica: gli ingegneri decidono specifiche e caratteristiche e i designer concepiscono scatole/involucri per contenerle. Per Jobs il processo andava pensato tendenzialmente in modo opposto. Il defunto CEO di Apple sapeva che il design era parte integrante di ciò che aveva reso grande l’azienda.
Steve Jobs - Walter Isaacson

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