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Tanti auguri, codice a barre

barcode

Era il 26 giugno del 1974. E negli Stati Uniti venne “passato” davanti al lettore di codici a barre un pacchetto da 10 di Juicy Fruit, gomme dal costo all’epoca di 67 centesimi di dollaro. Fu l’esordio del codice a barre, una tecnologia antica e al tempo stesso insostituibile: le 59 barre bianche e nere sono quello che permette agli inventari di mezzo pianeta di andare avanti.

Non ci sarebbe mondo moderno e tecnologico senza il codice a barre, non ci sarebbe codice a barre senza il laser e senza il computer. Insieme, le due innovazioni hanno prodotto una delle più straordinarie evoluzioni della tecnologia che oggi vengono utilizzate ogni giorno 10 miliardi di volte in tutto il mondo.

àˆ persino diventato un tatuaggio, da applicare magari ad una nuca, per rendere idea dello schematismo e della incapacità  alla trascendenza del nostro mondo stretto fra dogmatismi gelidi e controllanti. Oppure, è diventato un gioco, si chiamava Barcode Battler, nel 1991: si raccoglievano i codici a barre di tutto quel che capitava a tiro e, meglio delle carte Magic, ci si sfidava a battaglie all’ultimo codice.

Oggi tutto gira sul codice a barre: dagli aeroplani e i loro carichi, sia umani che di stiva, alle confezioni di farmaci e sistemi di calibrazione per la salute. Un ingegnere di Ibm, un veterano di mille invenzioni, è l’uomo al quale si deve la finalizzazione del progetto: George J. Laurer, che oggi ha 84 anni e si gode la pensione, è il vero artefice del codice a barre. Neanche il Rfid, il sistema di radiofrequenza che cerca di sostituire il sistema di codice a barre, sarà  in grado secondo Laurer di togliere il primato alla sua creatura.

Tra le piccole cose da sapere: accanto agli attuali sistemi di codice a barre verticali, in realtà  ne sono nati anche altri che hanno forme differenti, ovviamente concordate con standard internazionali. Quello sviluppato in Giappone, che ha matrice molto più complessa e viene usato ad esempio anche sui visti per quel paese, è sbarcato con un certo successo negli Usa e adesso anche in Europa. I telefoni cellulari vengono equipaggiati sempre più spesso con fotocamere in grado di leggere i codici a barre grazie ad obiettivi macro: anche l’ultimo iPhone 3GS ha questa capacità .

All’epoca dello sviluppo del primo codice a barro, ricorda Laurer, vennero immaginati diversi tipi di codice a barre, fino ad arrivare all’attuale Universal Product Code, come viene chiamato, con i familiari 30 neri e 29 bianchi che esprimono 12 bit di informazione. Si erano immaginati anche codici a barre circolari, ad arco e di varie altre forme. In realtà , si è trattato semplicemente di andare incontro alle limitazioni delle macchine, in grado di decodificare con maggiore facilità  un codice su due informazioni (nero e bianco) anziché cercare di leggere e interpretare una cosa complessa (in realtà  relativamente complessa) come i numeri dell’alfabeto latino.

Un’ultima nota: quando fece il suo debutto, il codice a barre venne affidato a un negozio Marsh di Troy, nell’Ohio. A fare passare il primo prodotto, che dicevamo prima, fu Sharon Buchanan, all’epoca cassiera trentunenne del supermercato. “Ero nervosa – ha recentemente dichiarato al New York Times la Buchanan – perché tutti mi facevano foto e venivano giornalisti di tutta la zona. Ma ha funzionato tutto alla perfezione e io, credo, alla fine, di aver goduto dei miei 15 minuti di fama”. Oggi, il codice a barre non è più un pericoloso strumento di sottomissione delle persone alla tecnologia fredda e spersonalizzante, ma quasi un’icona arcaica e simpatica di un tempo remoto. Oggi infatti il Grande Fratello ha lo sguardo rassicurante di Google e nessuno si preoccupa più per un semplice codice a barre.

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