Cosa succede quando la narrazione che ci ha ispirati per anni inizia a non combaciare più con la realtà che viviamo ogni giorno? Quando i valori che ci hanno guidati nel lavoro e nella vita sembrano svuotarsi, diventare etichette prive di sostanza, se non addirittura controproducenti? A queste domande risponde Lettera a Jeff Bezos, un libro fuori dal comune nel panorama dell’editoria tecnologica, scritto con coraggio e sincerità da Marisandra Lizzi, professionista della comunicazione e imprenditrice digitale.
Lizzi ha collaborato con Amazon per quasi vent’anni. Ne è stata partner, interprete e, in un certo senso, ambasciatrice: ha vissuto dall’interno l’espansione dell’azienda in Italia, contribuendo alla costruzione di un’immagine pubblica potente e affascinante.
Ma il libro non è un’autocelebrazione né un’invettiva. È un racconto intimo e lucido, che parte da una frattura: il momento in cui l’autrice decide di scrivere davvero a Jeff Bezos per spiegare perché – nonostante il successo, i risultati, i record – non può più continuare a rappresentare quella visione.
Nel cuore del testo c’è la tensione tra innovazione e umanità, tra l’idea di un digitale che migliora la vita delle persone e una macchina aziendale che, con il tempo, ha iniziato a logorare le relazioni, a spingere sempre oltre l’asticella, senza più curarsi dell’equilibrio, delle persone, del corpo.
E qui sta il tratto più originale del libro: Lizzi prende i Principi di Leadership di Amazon – sedici “comandamenti” aziendali diventati riferimento globale nel management – e li attraversa con una lente inedita. Usa il corpo, la bioenergetica, la propria esperienza personale e persino il dolore, per riscriverli. Ogni principio viene esplorato nella sua “luce” e nella sua “ombra”, rivelando come anche l’idea più nobile, se estremizzata, possa diventare tossica.
È una lettura che parla a chi vive il digitale non solo come professione, ma come vocazione. A chi crede che le aziende possano (e debbano) essere spazi di evoluzione personale e collettiva. A chi ha amato la promessa di Internet – connessione, democratizzazione, trasparenza – e oggi sente il bisogno di riportare quella promessa al centro, lontano dalle metriche ossessive, vicina alle persone.
Il tono del libro è personale, ma mai autoreferenziale. È ispirato, ma sempre ancorato alla concretezza del lavoro, delle scelte, delle contraddizioni. Lizzi scrive con una lingua ibrida, che fonde narrazione, memoria, saggio, diario e manuale. Parla di Amazon, ma parla soprattutto di sé – e, in questo modo, riesce a parlare a noi.
Ci porta a guardare oltre la retorica delle big tech e ci invita a ripensare il successo non come corsa infinita, ma come progetto condiviso. E in un momento storico in cui si parla tanto di AI, automazione e performance, ci ricorda che la vera rivoluzione è quella che restituisce spazio alla gentilezza, all’ascolto, al corpo.
Insomma, è una lettura che lascia il segno e che chi lavora nella comunicazione, nella tecnologia o nelle imprese del futuro farebbe bene ad affrontare. Non per nostalgia, ma per visione.
“Lettera a Jeff Bezos” di Marisandra Lizzi è infatti al tempo stesso un memoir e una riflessione sull’etica del lavoro nel digitale. Amazon è descritta con ammirazione per la visione originaria e critica per la sua evoluzione. Non viene demonizzata, ma viene messo in luce il lato oscuro di un’organizzazione che, secondo l’autrice, ha sacrificato i valori umani in nome della performance e del profitto. È un racconto profondo, onesto e coraggioso, che spinge a farsi domande vere sul lavoro, sul successo e su cosa significhi restare fedeli a se stessi.
Il libro è stato pubblicato il 5 giugno 2025, costa 22 € ed è in vendita anche su Amazon (ebbene sì!).











