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Oggi iPhone compie dieci anni: ecco come ha cambiato il mondo e come lo cambierà

Dieci anni fa. Anzi, dieci anni dopo. Sembra ieri, quel 9 gennaio 2007 quando per la prima volta Steve Jobs presentò su un palco iPhone; da un altro punto di vista sembra che l’iPhone ci sia sempre stato, che non sia mai esistito un momento in cui non c’era. È entrato nella coscienza collettiva e nessuno può fare finta che non sia mai esistito perchè le sue tracce sono ovunque. Parlarne è difficilissimo, si rischia di dare tutto per scontato e non andare al punto, oppure di dire cose scontate. M noi ci proveremo anche se prima faremo un esperimento.

Con gli occhi della mente (o con l’ausilio di Google Immagini) torniamo a vedere le forme dei telefoni cellulari Gsm e Umts di una volta, quelli che c’erano prima di iPhone. Sembra di tornare nell’Italia del boom economico, degli anni Cinquanta e Sessanta. Manca solo qualche apparecchio disegnato da Ettore Sottsass per Adriano Olivetti e ci siamo, entreremmo davvero in un universo parallelo, alternativo.

Un universo fatto di scomode tastierine, di cellulari cicciotti e bombolotti, dalle forme le più improbabili, dai display monocromatici (ma azzurro e nero oppure verde e nero, per provare il brivido del colore) oppure dai display coloratoni con le icone e le rotelle per muoversi tra un quadrante e l’altro. Un’estetica e una tecnologia completamente diversa, declinata su altre direttrici. Un’estetica Nokia ed Ericsson (ancora senza Sony), un’estetica Blackberry e Siemens.

Il mondo del futuro dove viviamo

Invece, l’esplosione, la rivoluzione, la discontinuità. Apple cambiò anche nome, da “Apple Computer Inc.” si trasformò in “Apple Inc.”. L’azienda e il suo leader, Steve Jobs, ci credettero, ci scommisero tutto, ci si giocarono il cuore. Forse non sarebbero andate da nessuna parte, forse non avrebbero vinto, ma decisero di andare fino in fondo, di vedere fin dove potevano arrivare. E il limite non è stato più neanche il cielo: sono arrivate alle stelle e sono andate anche oltre.

Macitynet  era in platea quel giorno di gennaio del 2007 in cui venne presentato l’iPhone (qui sotto vedete il nostro filmato), eravamo un sito Apple già da 11 anni allora, ma parlavamo solo di Mac e di iPod. Accanto a noi non c’era nessuno, perchè semplicemente non esistevano, della pletora di siti e sitarelli, bloggoni e blogguzzi che si occupano di prodotti Apple; arrivarono dopo richiamati dall’effetto “figo” di iPhone. Noi, anche se fino ad allora la massima attenzione per un telefono l’avevamo avuta per il più che mediocre Motorola Rokr, comprendemmo subito che quella cosa avrebbe cambiato tutto.

Quello stesso apparecchio che oggi ha venduto più di un miliardo di pezzi e che ha un valore paragonabile al PIL di un paese di medie dimensioni; quell’apparecchio che ha cambiato tutto venne presentato con uno scherzo: Steve Jobs era gagliardo e se la giocò dicendo che c’erano tre apparecchi in realtà: un nuovo iPod, un tablet per internet e un telefono. Un nuovo iPod, un tablet per internet e un telefono.

E in una girandola sul maxischermo i tre apparecchi – non lo avete ancora capito?, disse – si trasformarono in uno solo. Nell’iPhone. Una barretta tutto schermo che si poteva toccare con le dita, senza bisogno di uno stilo. Con tutte le dita. Un design anche di quel primo iPhone 2G che tra parentesi ancora oggi è assolutamente gustoso e usabile.

Oggi iPhone compie dieci anni: ecco come ha cambiato il mondo e come lo cambierà

Con questo telefono Apple ha aperto una nuova epoca. Nonostante i suoi limiti iniziali. Aveva lo schermo touch ma non aveva ancora l’SDK e le API per gli sviluppatori. Si parlava di web-app, si potevano (e si possono ancora) salvare i segnalibro delle app sulla scrivania come icone, con il favicon del sito che fa da immaginetta.

Erano app che con Html5 potevano funzionare in maniera differente da come eravamo stati abituati con i siti precedenti: più interattive e prestanti. E tanto bastava per riempire un vuoto che un anno dopo, con iPhone 3G (il primo commercializzato anche in Italia) sarebbe stata la rivoluzione delle app e soprattutto degli app store. Che già c’erano a livello embrionale ma che Apple ha eletto a sistema, con un successo oltre qualsiasi aspettativa. Ma tutto questo ancora non c’era.

Mentre ancora Steve Jobs stava finendo di ringraziare come di consueto lo staff di Apple, Settimio uscì di fretta dalla sala e si precipitò giù in strada e poi nella sede di Apple Expo al Moscone North dove il grande stand Apple era ancora coperto di teli neri e lì, dopo aver assistito al disvelamento dell’oggetto al pubblico girò quello che è probabilmente il primo video di un iPhone esposto al pubblico con tutto lo stupore che si sente nei commenti di chi l’osservava dall’altra parte della teca.

Dieci anni fa, al Moscone West

Il quippresente cronista di Macitynet, grazie a buoni rapporti con i vertici di Apple e una certa intraprendenza che la (più giovane) età permetteva (dieci anni sono sempre dieci anni), la mattina dopo la presentazione – un giorno freddo e nebbioso, tipico di San Francisco d’inverno quando le nuvole basse dell’oceano si sdraiano sulla città – si intrufolò nell’incontro ristretto a quattro giornalisti europei per avere accesso al primo iPhone.

Fu un incontro relativamente breve, in un’anonima stanzetta riunioni nel backstage del gigantesco Moscone Center West, che aveva da poco aperto. Fu un incontro determinante: l’iPhone era vero, funzionava, faceva quel che si era visto sul palco. Ed era una rivoluzione: si potevano zommare le immagini, ruotarle con le dita, diminuirle, fare tap qua e là, saltellare nelle pagine web.

Fu una visita salutare, oltre che giornalisticamente perfetta. Ne scrivemmo in tanti all’epoca, tutti con un’opinione (molte opinioni erano fortemente positive o negative) ma solo Macitynet fra gli italiani aveva effettivamente toccato con mano, poteva argomentare la sua opinione con dei fatti. Facemmo allora, come crediamo di aver sempre fatto, il nostro lavoro di cronisti, andando e toccando con mano, verificando in prima persona, mettendo alla prova quelle che per altri sono opinioni senza fatti e che invece dovrebbero essere la conseguenza dell’esperienza.

La prova di quanto stiamo scrivendo qui venne alcune settimane dopo in Europa, durante un altro incontro questa volta con il guru della tecnologia di Nokia: il CTO dell’epoca Hansi Vanjoki, considerato (a ragione) uno dei più esperti e visionari dirigenti del mondo della telefonia cellulare. Nokia era già in difficoltà, anche se non lo sapeva: era “impastata” con Symbian, un sistema operativo che non era moderno e che portava difficoltà al funzionamento degli smartphone Nokia.

Dominava il mercato soprattutto perché aveva innovato pesantemente un decennio prima. L’azienda non sapeva come evolvere ed era in qualche modo prigioniera di un sistema non adatto al multitasking, al touch, alla complessità che all’improvviso Apple aveva creato proiettando sul mercato iPhone OS, basato su MacOS X.

Diamo a Forstall quel che è di Forstall

Tra l’altro, quella di iOS (all’epoca si chiamava iPhone OS) fu una straordinaria avventura nella quale ha giocato un ruolo chiave l’allora delfino di Steve Jobs, Scott Forstall, che riuscì nell’epica impresa di ridurre la complessità ma non la potenza dell’Unix usato da Apple per i Mac: la mossa vincente che ha permesso a iPhone e poi iPad di crescere sino a dove sono arrivati oggi.

Solo Android di Google riuscì a parare il colpo, essendo “simmetricamente” basato su Linux e quindi capace di scalare tanto quanto iOS. Con l’avvertenza girata dal “traditore” Eric Schmidt, allora Ceo di Google ma anche membro del consiglio di amministrazione di Apple e in buoni rapporti con Steve Jobs, di non basarsi su un hardware a tastiera tradizionale ma preparare rapidamente un framework multitouch come quello di Apple. Quella, va notato, fu una mossa che cambiò definitivamente gli assetti della storia della telefonia mobile e dimostrò che giocare pulito paga ma solo fino a un certo punto. Non a caso non venne mai perdonata da Steve Jobs, che invocò la “guerra totale” contro il concorrente fedifrago e privo di fair play.

L’Ubris dei grandi, prima di crollare

Torniamo a Nokia, però: prima il Ceo dell’azienda sul palco e poi il CTO durante l’intervista entrambi affermarono due cose: la prima era che la gente voleva la tastiera (invece virtualizzarla era all’ora e oggi uno dei pilastri dell’innovazione di Jobs: la gente non vuole le tastiere fisiche, perché il guadagno ad averne una virtuale è più grande) e la seconda era che l’iPhone non era possibile, non funzionava, non avrebbe mai funzionato.

Era guerriglia, era difesa, ma era anche miopia, era l’Ubris (la tracotanza dei tragici greci) di pensare di essere gli unici che sapessero fare un telefono cellulare. E infatti Nokia era un gigante tecnologico, con tutti punti di forza che Apple non era riuscita a raggiungere con il primo iPhone: pessima ricezione, cattivo audio, passaggio 2G-3G laborioso sul modello successivo, scarsa autonomia della batteria.

steve-jobs-pre-iphone-slide

Nokia pensava anche per questo di essere invincibile. L’azienda si era seduta su se stessa, compiacendosi dei suoi risultati. E venne brutalmente messa fuorigioco da Apple (e dagli sviluppatori della piattaforma Android) sino a fare la tragica fine che sappiamo aver fatto grazie a un Ceo ex Microsoft che ha fatto praticamente da cavallo di Troia.

Vanjoki quel giorno diceva al vostro cronista che l’iPhone era finto, era una demo fatta in Flash, e che non avrebbe mai funzionato. Che lui questo lo sapeva perché sapeva cosa sono i telefoni, come funzionano, e quel telefono non poteva funzionare, non poteva esistere. Era vaporware. Il vostro cronista si permise di obiettare senza risultato che in realtà il telefono l’aveva visto, toccato e provato. Niente da fare. Il vostro cronista comunque registrò fedelmente questo scambio, che fa parte della storia minore della tecnologia. E potè farlo perché aveva visto e toccato con mano. Il santo protettore dei giornalisti dovrebbe essere San Tommaso anziché Francesco di Sales.

 Apparecchi Post-PC

Il primo iPhone fu questo e molto altro. Fu anche il secondo apparecchio Post-PC, per riprendere una delle tre fortunate immagini usate da Steve Jobs (le altre due sono la bicicletta per la mente quando si parla del computer in generale da un lato, e dall’altro il paragone tra furgoni e automobili per distinguere tra personal computer e tablet) che in quel momento toccò uno dei vertici della sua carriera.

L’iPhone seguiva di sei anni l’iPod, anche se nessuno considerava l’iPod niente di più di un lettore musicale. In realtà era il plesso del diaframma, lo snodo attorno al quale l’informatica stava cambiando. Il rapporto personale diventata ancora più individuale e diretto. In pochi anni l’iPod sarebbe diventato altro: prima un iPhone e poi un iPad, anche se sappiamo che Apple stava cercando di sviluppare l’iPad quando si trovò a fare con tre anni di anticipo il telefono (l’iPad venne lanciato nel 2010).

Con l’iPhone, con lo store per le app, con la nascita di altri apparecchi e dimensioni di schermo, con l’arrivo degli orologi e poi chissà cosa d’altro, Apple ha continuato a innovare, ad aggiungere pezzi. All’epoca non era chiaro, ma la cosa più segretamente innovativa del telefono di Apple non era certo la sua embrionale capacità (fotocamera solo posteriore da 2 megapixel, sistema operativo privo di copia e incolla) bensì l’integrazione verticale (il multitouch dello schermo dell’iPhone è leggendiario per questo motivo) e la potenza nascosta del suo hardware. Apple nel mercato Mac era da due anni passata ai processori Intel e con l’iPhone stava cominciando una strada di personalizzazione dei processori che oggi sta mostrando segni di grande maturità e porterà probabilmente a una nuova transizione dei Mac da Intel verso gli Arm Ax.

iPhone compie 10 anni

Poi cosa succederà? Ritornando al successo planetario dell’iPhone, l’apparecchio economicamente e simbolicamente più importante di sempre per Apple, viene da chiedersi come potrà evolvere. Forse non sarà con noi per sempre, sicuramente verrà soppiantato da altri concetti e impostazioni tecnologiche, forse davvero la voce segnerà la rivoluzione che metterà in soffitta il bisogno di uno schermo da tasca, oppure qualche altra tecnologia di interazione che ancora non immaginiamo o che non abbiamo valutato correttamente.

Certamente una cosa la sappiamo: l’iPhone è sopravvissuto al suo ideatore, a quello Steve Jobs che dal ponte di comando della Apple indicava la rotta e prendeva le grandi decisioni (i cento “no” da dire per ogni “sì”). Quel comandante supremo che oggi non c’è più e che ha avuto un impatto così forte sulla vita e il lavoro di così tante persone.

L’iPhone andrà avanti ancora per molto tempo, anche perché il suo potenziale innovativo si è tutt’altro che esaurito. Ci saranno ancora molte cose da vedere, da provare e da scrivere. Però il ricordo di questi dieci anni e soprattutto dei momenti chiave del 2007 (e del 2008) è indimenticabile. Oggi ci sono giovani utenti di iPhone che erano appena nati (o addirittura che non erano ancora nati) quando è arrivato l’iPhone. Non hanno mai visto l’altra informatica, quella fatta da tastierine e forme cicciotte e bombolotte, da sistemi operativi asfittici, rotelline e mini-joypad per cercare di comandare la ricchezza della tecnologia, la rete, le loro infinite possibilità, con mezzi così scarsi.

Meno male, per loro e per noi, che c’è l’iPhone.

storia di iPhone

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