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OJ Simpson? Era il sicario assoldato da Steve Jobs

La vita è strana. Ci sono gli eroi, i poeti, gli iconoclasti, i geni e quelli che non sopportano le regole. Talvolta la poesia e la genialità  sono una riga sopra la follia, talaltra sfumano insieme nel tramonto e non è più possibile distinguere le une dall’altra. E nel buio solitario del gabbio dove otto anni da passare per aver fatto partire uno schema di furti d’identità , l’ombra è talmente fitta che sono pochi quelli che in realtà  potrebbero dire cosa è cosa e cosa non lo è.

Jonathan Lee Riches, un uomo di trent’anni (sui nostri giornali verrebbe definito un “giovane”) che ha già  scontato tre degli otto anni a cui è stato condannato, non sa come ingannare il tempo e non si accorge di avere un talento surreale che potrebbe rendergli più di quanto il tentativo di furto d’identità  in massa nel suo insieme. E nonostante il giudice Gregory Presnell abbia scritto che si tratta di nient’altro che “un insieme di fantasiosi nonsense”, probabilmente i fratelli Marx l’avrebbero assunto come loro capo-sceneggiatore.

Fatto sta che Riches ha citato in giudizio Jobs per una serie di motivi che aggiungo nel loro insieme nuove dimensioni al significato di “pirotecnico”. Steve Jobs avrebbe ingaggiato come sicario OJ Simpson (il giocatore di football e attore messo sotto processo e poi assolto con una contestata sentenza dall’accusa di avere ucciso la moglie) per almeno due decenni, oltre ad essersi fatto pagare da questi per clonare la pecora Dolly, nel mentre Jobs stesso avrebbe minacciato Riches puntandogli contro il cervello dei missili nucleari (li avrebbe puntati anche contro la bicicletta di Lance Armstrong, per qualche recondito e mai chiarito motivo) oltre ad avergli venduto “il 10 di maggio del 2007) un iPod a 922,01 dollari presso FCI Williamsburg, subito dopo rivendendolo – il medesimo iPod – a 199 dollari.

A questo si aggiungono altre vicende non meglio chiarite che coinvolgono, nell’ordine, la Principessa Diana, il sindacato unitario dei lavoratori del comparto automobilistico, il castello di Cenerentola, tra gli altri.

In passato Riches aveva fatto causa anche ad Elvis Presley e al suo ranch Neverland (che era diventato di proprietà  di Michael Jackson) per aver “rock’n’rollato” il suo cervello per decenni. Nel paese che ha eletto il minimalismo e il racconto breve a monumento della letteratura, Jonathan Lee Riches potrebbe un giorno inaugurare una nuova corrente e un nuovo genere. Sempre che prima non gli tolgano carta e penna.

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