Salvaguardia dei processi creativi, della privacy, certezza dei risultati, il rifiuto degli strumenti e delle comodità dell’intelligenza artificiale nel software che utilizziamo tutti i giorni ha tante ragioni e non sono pochi quelli che usano strategie per non rimanere intrappolati nei vantaggi dell’AI in cambio di una completa cessione delle proprie competenze e dei propri dati anche strettamente personali.
Il Washington Post ha condotto una inchiesta in cui vengono citati innumerevoli casi come quello di una studentessa 16enne, ad esempio, spiega di non usare le AI perché non vuole che sia una macchina a elaborare i suoi pensieri, preoccupata da pregiudizi e inesattezze che gli strumenti AI possono produrre.
Molti attori del settore tecnologico preferiscono usare le AI meno possibile durante l’orario lavorativo, evidenziando preoccupazioni relative a privacy, accuratezza dei risultati e la necessità di mantenere affinate le proprie competenze.
C’è poi chi ha messo in atto la semplice resistenza per tutelare la propria privacy, disabilitando ad esempio gli strumenti di trascrizione automatica quando si effettuano chiamate per un appuntamento dal medico, disattivando i risultati stile chatbot da qualche tempo mostrati da Google o ancora le funzionalità AI dalle Impostazioni dei telefoni.
Per i creativi e piccole attività lavorative, il rifiuto delle AI sta diventando un aspetto cruciale della propria creatività ma anche una strategia. Alcuni graphic designer, ad esempio, indicano il badge “not by AI” in loro lavori per far capire che si tratta di risultati creati dall’uomo e non da tecnologie automatiche; alcune aziende si sono impegnate a non offrire chatbot AI o generatori di immagini con le AI.

Preoccupati per le conseguenze delle AI
Le AI sono sempre più fonte di preoccupazione per una vasta fascia di americani: da un sondaggio condotto a giugno dal Pew Research Center emerge che il 50% degli adulti statunitensi è più preoccupato che entusiasta per riguarda al crescente uso delle AI nella vita quotidiana, percentuale in decisa salita rispetto al 37% del 2021.
Un altro esempio di “resistenza” indicato dal quotidiano statunitense è quello di un 36enne ingegnere informatico di Chicago che spiega di usare DuckDuckGo perché è più facile disattivare funzionalità AI rispetto a Google, e riferisce di disattivare le AI su tutte le app che usa.
L’ingegnere è uno di vari lavoratori in ambito tecnologico che hanno accettato di parlare anonimamente con il quotidiano statunitense, spiegando che sue critiche potrebbero creargli problemi al lavoro. “È diventato stigmatizzante dire che non usi l’AI per qualunque cosa sul luogo di lavoro. Rischi di essere additato come un potenziale luddista”.
Lo stesso ingegnere spiega che GitHub Copilot revisiona tutte le modifiche al codice che crea come dipendente, e questa AI (che dovrebbe assistere i programmatori) ha recentemente elaborato una revisione in modo completamente errato, obbligando a correggere e documentare gli errori, con conseguente “lavoro per me e i miei colleghi”.
“Non sono convinto che faccia risparmiare tempo o creare codice migliore”, riferendo ancora che spesso si trova a correggere errori di ingegneri junior incoraggiati a usare strumenti di coding con l’AI.
In vari settori cresce la preoccupazione per i dipendenti più giovani che si appoggiano pesantemente alle AI, elementi che non saranno in grado di padroneggiare direttamente competenze e abilità richieste in lavori specializzanti. Entro il 2030 uno studio (PDF) di McKinsey&Compnay stima che tra i 75 e i 375 milioni di lavoratori (tra il 3 e il 14% della forza lavoro globale) dovranno cambiare lavoro e imparare nuove professioni.
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