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Songs of IBM: le folli canzoni motivazionali anni ’30 di Big Blue

“Il libro dei dannati”. Ars Technica chiama così “Songs of the IBM”, canzoniere della seconda metà degli anni ’30 riesumato dal popolare sito di scienza e tecnologia per raccontare l’ambiente di lavoro e lo spirito aziendale di una delle corporate più innovative del XX secolo e che proprio negli anni del New Deal di Roosvelt mise le basi per diventare una delle più grandi multinazionali al mondo, sotto la guida del padre-padrone Tomas J. Watson.

Si tratta di un libretto di una cinquantina di pagine edito per la prima volta nel 1927 e poi ristampato fino a metà degli anni ’50 (la copia pubblicata da Ars Technica è del 1937), quando ormai Watson aveva lasciato la guida di Big Blue al figlio. Allora IBM, anche grazie ad accordi internazionali per l’acquisto di licenze, era leader nel settore della tecnologia per il business, producendo macchine da scrivere, macchine addizionatrici elettromeccaniche, o supporti per le registrazioni vocali. In azienda la prassi era di cantare queste canzonette sulle linee di montaggio per tenere alto il morale. Del resto ad Armonk sino all’inizio degli anni 2000 c’era un’orchestra sinfonica aziendale che allietava gli meeting ed eventi destinati anche solo al personale. Ma definire stucchevoli e adulatori i testi del 1937 è senza dubbio generoso nei confronti degli autori. Per averne un idea basta prendere l’incipit di una dedicata al Ceo: “Thomas Watson è la nostra ispirazione, testa anima della nostra splendida IBM, nessuno lui o la nostra azienda può eguagliare”.

Di qui la scelta di Ars Technica di chiamare ironicamente  libretto dei dannati “Songs of the IBM” .

Come sempre, però, tutto va contestualizzato al periodo storico. Le canzoni ufficiali delle università americane di allora, ad esempio, non sempre avevano parole più oggettive e distaccate per descrivere l’amore verso proprio ateneo e, anche se oggi farebbe l’effetto esattamente contrario, probabilmente quei toni erano azzeccati per tenere alto il senso di appartenenza e di orgoglio. Due aspetti sui quali Watson puntava molto, pretendendo un rigore morale dai propri dipendenti anche al di fuori degli orari di lavoro.

Una situazione che se può raccontare un po’ degli anni ’30 americani e del periodo che mise le basi perché gli Stati Uniti, dopo la guerra, diventassero la prima superpotenza economica al mondo, da anche qualche indizio sul primo periodo dell’informatica casalinga e sugli anni che videro nascere Apple alla metà degli anni ‘70. E’ facile immaginare l’impressione che Big Blue e della sua cultura di impresa così fortemente modellata sin da 30 anni prima agli hippie e agli apostoli della controcultura californiana ed è facile capire come per Steve Jobs il nemico della mela arcobaleno fosse proprio il blu scuro dei vestiti e del logo di IBM.

IBM
Thomas J. Watson, l’uomo che fece di IBM una delle più grandi aziende al mondo

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