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Nomofobia, cresce la fobia di restare senza smarphone e senza internet

Nomophobia, il nome vi giungerà forse nuovo, ma gli effetti che produce probabilmente non vi sono sconosciuti. Se qualche volta vi siete sentiti avvolti da una gradevole sensazione toccandovi in tasca scoprendo di essere senza telefono e poi avete cominciato a pensare a un modo per recuperare il vostro compagno di ogni giornata, se siete preoccupati dalla durata della batteria, se non passate più di tre quattro minuti senza toglierlo dalla tasca, siete affetti proprio da questa sindrome per la quale sono nati centri di riabilitazione e programmi di recupero.

La Nomophobia, (“no-mobile-phone-phobia”) è la specialità del Morningside Recovery, un centro di Newport Beach (California). Qui si aiutano persone che non riescono a stare lontano dagli smartphone, offrendo percorsi di riabilitazione. La dottoressa Elizabeth Waterman, terapeuta dell’Elizabeth Waterman, indica alcuni segni premonitori di chi è colpito da questa fobia: controllo continuo del telefono, uso del telefono nei momenti meno appropriati, costante controllo dello stato della batteria. A febbraio di quest’anno la dipendenza era stata segnalata da Digital Journal evidenziando un dato sconcertante: il 75% delle persone non abbandona il telefonino nemmeno per andare in bagno.

La Nomophobia cui parla  MacLife, è stata anche al centro di ricerche svolte da SecurEnvoy che ha effettuato un sondaggio online scoprendo il 66% dei 1.000 intervistati nel Regno Unito ha paura di restare senza cellulare. A essere colpite pare siano più le donne degli uomini: il 70% delle intervistate teme di restare senza cellulare contro il 61% degli utenti di sesso maschile. Gli uomini, d’altro canto, sono però quelli che hanno probabilmente due telefoni, anziché uno solo. Un dato preoccupante riguarda le generazioni tra i 18 e i 24 anni: sono queste a soffrire maggiormente (77%) della fobia, seguite (68%) dalle generazioni comprese nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni.

Altra nuova malattia in ascesa anche in Italia ricorda quella che in Giappone è detta sindrome di Hikikomori (termine giapponese che letteralmente indica «stare in disparte, isolarsi»), la continua necessità di rimanere connessi con il computer al web, conseguenza dell’enorme diffusione di Internet e per assurdo della popolarità dei  social network. O forse degli anti-social network…

 

[A cura di Mauro Notarianni]

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