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Scrivere usando Git, il tutorial – parte prima

Il vostro cronista da molto tempo è alla ricerca della leggerezza nella scrittura. Poter lavorare senza essere vincolati dalla pesantezza di software come Word di Microsoft, formati barocchi come docx e problemi di sincronizzazione attraverso dispositivi diversi, è stato a lungo un sogno. Non è necessario viaggiare moltissimo per poterlo desiderare: anche potersi muovere con semplicità tra dispositivi differenti e scrivere ad esempio sull’iPad Pro con la nuova Magic Keyboard senza problemi è una forma di libertà.

L’estate, che è da sempre il momento in cui si riprende fiato e si ha tempo per portare avanti qualche progetto personale, questa volta è stata fondamentale per analizzare e riprogettare tutto il flusso di lavoro pensato sia per la produttività individuale che per la collaborazione con altri. Vediamolo in questo articolo e nel successivo che cosa abbiamo costruito.

Scrivere usando Git, il tutorial – parte prima

Premessa: il problema da affrontare

Il problema da affrontare, almeno per chi scrive, è quello di avere un sistema che permetta di scrivere con leggerezza e velocità su una serie di dispositivi vari (Mac, iPhone, iPad) sia con connessione fissa che con connessione pubblica (WiFi) o via telefono (3G, 4G) senza cadere nella trappola di software e piattaforme proprietarie, che oggi ci sono e domani chissà.

Anni fa la scelta è stata quella di passare al markdown, il linguaggio di marcatura leggero creato da John Gruber, abbandonando Word (che dopo la versione 5.1 per Mac, diciamocelo, non è stato più lo stesso), Pages e tutti gli altri sistemi tradizionali. Nel caso del software di Microsoft, la scelta è stata fatta anche per togliersi di torno sia i costanti problemi di sicurezza del software stesso che del formato dei documenti, utilizzato più volte per veicolare attacchi nefasti con le macro e come “contenitore” di trojan. Si può vivere senza MS Word? Certo, e benone.

Cosa rimane e quali sono i problemi

Nel flusso di lavoro del sottoscritto a questo punto come software “legacy” rimane solo Scrivener, per la capacità di coordinare progetti estremamente complessi (come libri) in modo ricco, completo e flessibile, ma non è più utilizzato da tempo come contenitore del lavoro quotidiano del cronista della tecnologia.

I problemi affrontati nel tempo sono stati: trovare degli editor di testo capaci di funzionare bene, in maniera continua ed affidabile; trovare una modalità di archiviazione dei documenti di testo semplice (leggeri per definizione) che permetta una sincronizzazione semplice ed efficace, riducendo al minimo le copie in conflitto; spendere il meno possibile e se possibile non rimanere prigionieri di formati e piattaforme proprietari.

Scrivere usando Git, il tutorial – parte prima

Difendersi dai formati occulti

Si potrebbe pensare che utilizzare il testo semplice con la formattazione in markdown possa essere un modo capace di resistere alla prova del tempo e svincolare dal rischio dell’obsolescenza. Non è solo questo, però. Ogni volta che una app propone un sistema di organizzazione dei dati proprietario, il rischio si ripresenta.

Ad esempio, sistemi come quelli offerti da Bear e soprattutto da Ulysses, due popolari app per la scrittura in markdown in ambiente Apple, hanno infatti questo problema: non offrono alternative e sfruttano un loro database per contenere i singoli documenti di testo, aggiungendo dei metadati che non sono più esportabili. Se anche si tira fuori il singolo file di testo, è la struttura complessiva che non è più facilmente ricreabile, o in alcuni casi impossibile da ricreare. Usare quel tipo di app è come mettere tutto in un altro computer che sta dentro al nostro computer, con un suo filesystem e una sua logica proprietari. Se per caso l’app non funziona o non viene più aggiornata, si rischia di non poter più accedere al proprio lavoro. Si può (quasi sempre) esportare, certamente, ma è una operazione laboriosa che diventa problematica se il tempo è poco o i documenti sono centinaia.

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All’inizio erano il filesystem e Dropbox

Ecco perché chi scrive ha scelto inizialmente come modello di archiviazione dei documenti il file system del MacBook, utilizzando poi per la sincronizzazione Dropbox. Questa soluzione è stata preferita per molto tempo perché si è dimostrata a lungo la più affidabile (Dropbox fin dall’inizio ha fatto molto bene il suo lavoro) e la più trasparente (si usano le normali cartelle del sistema operativo e si spostano i documenti avanti e indietro, come se fossero documenti “normali”) utilizzando una metafora perfettamente comprensibile: quello che sta dentro la cartella di Dropbox è presente e viene sincronizzato anche sugli altri dispositivi connessi allo stesso account.

Più nel dettaglio, chi scrive ha preferito Dropbox a Box (tecnicamente molto simile) per via della maggiore diffusione all’interno delle app iOS, e alla tecnologia di iCloud per la sua maggiore inaffidabilità (soprattutto in passato i tempi di sincronizzazione erano imprevedibili, spesso lunghissimi, e c’erano numerosi casi di copie in conflitto degli stessi documenti, soprattutto se con connessione via cellulare) oltre che per la metafora differente (dove sono sul computer i file messi su iCloud Drive? E su iPhone e iPad?).

Il problema è anche un altro: Dropbox ha cominciato a “comportarsi male”, sia per il continuo cambiare delle sue API che mettono in fuorigioco parecchie app iOS di terze parti, sia perché l’azienda ha deciso di concentrarsi sempre più sui servizi e sta diventando sempre di più una piattaforma proprietaria. Il rischio finale, insomma, è di ritrovarsi di nuovo ingabbiati in una piattaforma chiusa o quantomeno di pagare per servizi non necessari. Quindi, la ricerca di una nuova soluzione per lavorare è stata quella di cercare un altro approccio, questa volta veramente “aperto”. L’obiettivo ultimo è poter lavorare indifferentemente dalla piattaforma sulla quale ci si trova: macOs, iPadOS, Windows, Linux, BSD, Android. In questo modo restare sui prodotti di Apple deve essere un piacere e una scelta, anziché un bisogno o un obbligo.

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Git e GitHub

La risposta che il vostro cronista ha trovato questa estate è Git, il software open source creato da Linus Torvalds per funzionare da sistema di controllo di versione distribuito. Git è nato per il versionamento del codice sorgente del software, che però è sostanzialmente fatto da file di testo e quindi va bene anche per la prosa e la poesia se scritta in testo semplice. È inoltre un software nato per essere collaborativo e coordinare tra loro i repository locali di tantissimi utilizzatori, quindi va benissimo per chi come il sottoscritto deve semplicemente gestire tre o quattro tra computer, tablet e telefoni. Inoltre, Git è uno dei progetti open source più grandi e mantenuti al mondo, quindi non c’è rischio di rimanere prigionieri di un sistema destinato all’oblio e alla decadenza. Anzi, a differenza di iCloud e Dropbox, è disponibile su un numero molto più ampio di piattaforme, in caso un giorno ci sia il bisogno di fare una migrazione improvvisa da macOS e iPadOS verso altri sistemi.

Inoltre, Git viene fornito come servizio cloud: questo vuol dire che è possibile sincronizzare il proprio repository locale con uno nel cloud. Ed è la rivoluzione, perché in questo modo si possono far puntare i vari dispositivi al repository nel cloud e si è risolto il problema della sincronizzazione. Chi offre questo servizio? In realtà un buon numero di aziende (GitHub, GitLab e altri) in maniera gratuita anche con repository privati. Il servizio è perfettamente standard (non ci sono caratteristiche e dialetti “devianti” per Git) e facile da usare.

Infine, Git in modalità server si può installare anche in locale. Può essere utilizzato infatti anche in modalità server autogestita e ai più smanettoni basta un Raspberry Pi attaccato al router di casa per essere totalmente autonomi e non aver bisogno di altro.

Nel prossimo articolo

Nella prossima puntata vedremo quali editor di testo sono utilizzabili, come mettere assieme la soluzione, come funzionano i flussi di lavoro e quali opportunità offre.

iA Writer per Mac si acquista da questo link (qui la versione di prova) e per iOS/iPad a questo. Sono disponibili le versioni per Windows e Android. Invece, Working Copy per iOS/iPadOS si scarica gratuitamente da qui (ma per funzionare in modo completo richiede un acquisto in-app). Qui si può scaricare Homebrew, il gestore a pacchetti che mancava per macOS, mentre da qui si può creare il proprio profilo GitHub (ma la stessa cosa si può fare con GitLab o BitBucket). Un buon client git con interfaccia grafica per Mac, Windows e Linux è GitHub Desktop della stessa azienda e completamente gratuito.

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