Uno degli accordi raggiunti da Trump nel contesto delle trattative per i cosiddetti “dazi reciproci” corre il rischio di costare molto caro a tutti coloro che acquistano prodotti di elettronica e in particolare prodotti Apple. Parliamo della sigla del patto commerciale avvenuta ieri, in base al quale tutti i prodotti importati negli USA dal Vietnam avranno una tariffa del 20%.
La grande fuga in Vietnam
Per comprendere la portata quantitativa dell’impatto dell’accordo sulla gamma dei dispositivi della Mela basta partire da una constatazione: il Vietnam è il principale paese di assemblaggio di Apple dopo la Cina in termini di fatturato, ma superiore a quest’ultima se si considera la varietà dei dispositivi. Lo sappiamo perché durante un incontro con gli analisti nel maggio 2025, Tim Cook aveva dichiarato che “tutti i prodotti tranne l’iPhone” sarebbero stati esportati negli Stati Uniti direttamente da fabbriche vietnamite.
Questo significa che sono colpiti dal 20% di tassa AirPods, Apple Watch, iPad, Mac mini, portatili e iMac. Il 20% è quasi cinque volte il dazio precedente, che era sotto il 4% e in alcuni casi azzerato grazie a eccezioni stagionali o specifiche per settore.
Gli USA, secondo quanto afferma Trump sul social personale Truth, sono poi accordati per un’ulteriore tariffa del 40%, detta “trans-shipping”, che si applica a prodotti assemblati in Vietnam ma con componentistica di origine cinese o extra-vietnamita. Fortunatamente per Apple, sembra che la sua catena produttiva – pur basata su componenti globali – rientri nei criteri per restare nella fascia del 20%, evitando il peggio.
Nel momento in cui il dazio sarà attivo (date e modalità non sono specificate, per ora c’è solo un post social di Trump che parla della questione), Tim Cook dovrà decidere se sacrificare i margini o aumentare i prezzi. In entrambi i casi, a pagarne il conto saranno gli americani e non i vietnamiti, come continua a sostenere la macchina della propaganda di Trump.
Pagheremo anche noi
Il problema è che appare molto probabile che, nel gioco dei vasi comunicanti, paghino anche gli europei e gli italiani. Molto difficilmente Apple riverserà interamente il dazio del 20% sui consumatori del mercato interno, altrettanto difficilmente assorbirà interamente l’aumento: molto più facile che decida di andare a raccogliere i profitti che perderà negli USA altrove.
In termini pratici, questo significa che Apple, come abbiamo già spiegato, potrebbe ritoccare i prezzi al rialzo anche nei Paesi dove i dazi non ci sono. Una strategia che consentirebbe ad Apple di compensare le perdite spalmando i costi a livello globale. In pratica, una logica di cross-subsidization: usare i profitti generati in un mercato per coprire i costi di un altro.
Una alternativa ugualmente sfavorevole sarebbe quella di giocare sul cambio. L’ ‘indebolimento del dollaro, consentirebbe ad Apple di ridurre i prezzi in Europa. Oggi un euro si cambia a 1,17 dollari circa, quando solo qualche settimana fa era sotto gli 1,10 dollari e a gennaio intorno alla parità. Tecnicamente Apple potrebbe ridurre quindi il costo dei suoi prodotti prezzati in euro, cosa che sembra difficile che oggi faccia.
La prova del nove si avrà il prossimo autunno, quando dovrebbero arrivare una lunga serie di prodotti di nuova generazione: iPhone ma anche AirPods, iPad ed Apple Watch. Tutti, come detto, tranne iPhone, prodotti in Vietnam.