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I primi dieci anni dell’hashtag

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Era l’estate del 2007, racconta Biz Stone su Medium, e Chris Messina, vip online e sviluppatore della prima ora molto popolare, suggerì ai primi dipendenti di Twitter (incluso lo stesso Stone) di aggiungere una funzionalità alla piattaforma di micromessaggi di Internet. Si suggeriva di aggiungere l’hashtag.

Va innazitutto detto, però, che Twitter è una azienda che è sopravvissuta a se stessa e ha saputo reinventarsi più volte pur non avendo un senso economico reale. Questo è accaduto soprattutto grazie alla capacità di massimizzare il lavoro dei suoi abilissimi ingegneri del software. Ma anche grazie alla sua capacità di ascolto e “incorporazione” dei consigli forniti gratuitamente dai suoi utenti. Ovviamente non di tutti i consigli in maniera acritica, ma soprattutto di quelli che potevano essere innovativi e potenzialmente rivoluzionari. Uno di questi fu quello proposto da Messina in quanto utente ma anche come “esperto”.

L’idea di Messina era coerente con la filosofia di Twitter: brevità a tutti i costi. Allora, perché non creare un sistema per fondere assieme gruppi di tweet sullo stesso tema? Il massimo della sintesi era poterlo fare con una sola lettera che indicasse quale fosse la parola chiave o l’etichetta che faceva da trait d’union. Occorreva una lettera non usata per altri scopi: in tutte le tastiere e tastierini fisici di telefoni c’è la stella o asterisco e il diesis o cancelletto. Perché non scegliere quest’ultimo?

hashtag 10 anni

Detto fatto, il cancelletto, che in inglese viene chiamato “pound” o “hash”, divenne il segnale per indicare una etichetta (“tag”) che facesse da parola chiave. Ecco dunque il nome “hash-tag”. Il sistema divenne rapidamente molto utilizzato e cominciò a cambiare di funzionamento: da sistema per unire tweet a meccanismo per aggiungere commenti strani (#portarefuoriilcane) sino a creare movimenti di massa e vere e proprie conversazioni globali. In questo modo la gente ha cominciato a usare Twitter come un vero microfono e a cambiare il mondo. Un esempio? Le primavere arabe, ma anche tantissimi altri eventi e rivoluzioni che hanno usato la velocità di Twitter e gli hashtag come motore di senso.

Il vero nome dell’hashtag in inglese, ricorda Stone, sarebbe “Octothorp” e in italiano più banalmente “cancelletto” (viene anche detto impropriamente “diesis”, come ricordavamo, ma è sbagliato perché il simbolo musicale è differente e ha un codice ASCII e Unicode differente. È un segno tipografico che vuol dire “numero”, ed è una abbreviatura latina della N maiuscola barrata per indicare la parola “numerus”. Negli Stati Uniti indica ancora oggi una posizione numerica: #1 vuol dire “numero uno” (che in italiani abbrevieremmo come N°1).

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