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La sentenza contro l’ aborto mette a rischio la privacy in USA

Tra gli effetti della contestata sentenza sull’ aborto della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha eliminato il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza contenuto nella sentenza “Roe v. Wade” del 1973 c’è anche quello di mettere al centro la privacy dei dati caricati sulle app.

In particolare, uno degli effetti della sentenza è quello di aver dato la possibilità ad alcuni stati americani di introdurre delle leggi per vietare immediatamente l’interruzione di gravidanza e dare mandato ai pubblici ministeri di cominciare a perseguire le persone che si sospetta abbiano violato il divieto (cosa che sta già succedendo in tredici stati americani).

Le indagini portano a sanzioni differenti da stato a stato, che possono andare da una multa sino a numerosi anni di reclusione per le persone coinvolte, e in particolare per le donne e per il personale medico che interrompe la gravidanza.

Queste indagini, ritengono sempre più numerosi gli esperti di privacy, possono comportare anche delle indagini approfondite per consentire alle autorità statali di “capire” se una donna ha volontariamente interrotto una gravidanza, magari utilizzando soluzioni privatamente al di fuori delle strutture sanitarie e quindi senza lasciare una traccia documentale. In questo caso uno degli indizi verrebbe dall’analisi dei dati contenuti nelle applicazioni per tracciare il ciclo mestruale oppure dalle ricerche online effettuate sui motori di ricerca (il che spesso e volentieri vuol dire il motore di Google).privacy aborto

L’era della sorveglianza digitale

Oggi rispetto al passato quel che cambia con le leggi contro l’aborto e quindi l’interruzione della gravidanza è il tipo di contesto tecnologico in cui vive la società. Secondo la direttrice per la sicurezza informatica della Electronic Frontier Foundation Eva Galperin, «la differenza tra ora e l’ultima volta che l’aborto è stato illegale negli Stati Uniti è che viviamo in un’era di sorveglianza digitale senza precedenti».

Questo, tradotto, vuol dire che le autorità possono, con un mandato o meno, avere accesso ai dati di milioni di donne conservati online dalle applicazioni, oppure dallo storico delle ricerche, e utilizzare software per l’analisi aggregata dei dati al fine di identificare quei profili che potrebbero essere coinvolti in una interruzione di gravidanza e, a quel punto, procedere con una indagine “d’ufficio” in maniera tale da capire se hanno effettuato una interruzione di gravidanza.

Questo tipo di approccio automatico passa attraverso l’acquisizione di dati conservati non solo da Facebook, Google, TikTok (ma anche Amazon, per esempio), ma anche di quelli che fanno parte dei produttori di app per il monitoraggio del ciclo mestruale. Inoltre, spiegano gli attivisti della Electronic Frontier Foundation, le autorità in molti casi possono avere accesso ad altre informazioni incriminanti anche semplicemente richiedendo i dati ai fornitori dei servizi di telefonia mobile, ai provider internet di casa, alle reti che registrano ad esempio gli spostamenti delle persone sulle reti Wi-Fi cittadine.

Sono le informazioni di tipo pubblicitario, che vengono utilizzate per la profilazione delle persone e per aumentare il valore degli utenti quando si vendono le inserzioni online, ma, come sostengono da molto tempo gli esperti di privacy, in realtà sono un’arma perfetta anche per ottenere informazioni indiziarie sul comportamento delle donne e delle persone che lavorano nelle strutture mediche e che potrebbero collaborare attivamente alle interruzioni di gravidanza volontarie.

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La normativa USA sull’ aborto e le organizzazioni

Non è chiaro quale sia la posizione di molte aziende tech negli Usa. Certamente i big come Apple e Google ricevono ogni anno decine di migliaia di richieste di informazioni da parte dell’autorità giudiziaria. Siamo a conoscenza solo di una parte di queste richieste perché nel sistema giudiziario americano è possibile richiederle vincolando il destinatario al segreto per tutelare le indagini (non è chiaro se queste richieste vengano se non altro aggregate nel numero finale che viene comunicato dalle aziende), ma in generale è chiaro che le informazioni che possono essere raccolte e incrociate con altri dati per creare dei profili di “donne che hanno abortito” sono moltissime.

Negli Usa sono presenti anche altri soggetti attivi in questo campo: sono le organizzazioni antiabortiste che da lungo tempo si attivano per raccogliere informazioni sulle cliniche e gli ospedali dove vengono interrotte le gravidanze e protestano. Da notare che in alcuni stati (come Oklahoma e Texas) sono in vigore leggi che promettono ricompense di entità anche notevoli a chi denuncia medici che praticano l’interruzione della gravidanza o donne che la abbiano effettuata.

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La tutela della privacy

Sono ormai moltissime le voci anche nella stampa americana che si sono sollevate sull’impatto che la sentenza dei giudici federali sull’ aborto può avere sulla privacy di milioni di donne e del personale medico di moltissime istituzioni negli USA. In particolare, è stato indicato anche il ruolo di app specifiche per il monitoraggio del ciclo mestruale e di tutte le problematiche relative al modo con il quale vengono conservati i dati personali (nel cloud? in maniera sicura?).

Apple, che da tempo sta spingendo molto il ruolo della tutela della privacy sulle sue piattaforme, gestisce questo tipo di informazioni e molte altre con l’app Salute che ha condizioni di sicurezza e di privacy particolari. L’app infatti non conserva i dati nel cloud ma in locale sul telefono (ed eventualmente nel backup crittato dello stesso) con una modalità tale che Apple stessa non può avervi accesso.

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Tra le funzioni attivate da tre anni c’è anche quella per la registrazione del ciclo mestruale. Apple l’ha avviata con iOS 13 e già da tempo sono usciti anche dei risultati di un primo studio della salute delle donne.

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