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Spid e CIE, il grande scontro tra visioni del mondo contrapposte, intervista ad Alfonso Fuggetta

Cosa succede nel mondo dell’identità digitale? È stato aperto dal Governo il cantiere per superare lo Spid, il sistema di autenticazione digitale dei cittadini basato su una serie di provider, e andare a convergere verso un’identità nazionale unica. Intanto, il Governo ha detto che ai fornitori di Spid verrà garantito “il rinnovo pluriennale del servizio” ma intanto il 23 aprile Intesa (Gruppo Kyndryl) uscirà dal gruppo dei provider. E poi entro giugno verrà definito “il percorso evolutivo dell’identità digitale, valorizzando gli importanti risultati conseguiti dal sistema Spid e dagli attori che vi stanno partecipando”.

I provider attualmente autorizzati a rilasciare Spid sono comunque molti. Restano in pista Aruba, Tim, Register, Infocert, Namirial, Poste, Sielte, TeamSystem, Lepida ed Etna, la maggior parte dei quali riuniti in AssoCertificatori.

Ma di cosa stiamo parlando quando parliamo di strategie per l’identità digitale nazionale? E quali sono le strategie sul piano europeo? Perché queste mosse adesso e quali conseguenze avranno?

SPID

Qualche giorno fa abbiamo sentito Alfonso Fuggetta, professore ordinario di informatica al Politecnico di Milano e amministratore delegato di Cefriel, l’ente di innovazione lombardo fondato nel 1988 da università, imprese e amministrazioni locali che ha l’obiettivo di promuovere e sostenere l’innovazione nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni, sfruttando le TLC come elemento chiave per progettare e implementare nuovi prodotti, servizi, processi e soluzioni.

Intervista ad Alfonso Fuggetta

A lui abbiamo chiesto lumi non sulla cronaca di questi giorni ma su quali siano le possibili strategie, i razionali e i significati di queste tecnologie e dei cambiamenti avanzati.

Professore, ha senso cambiare lo SPID, è sbagliato?

No, però lo Spid ha un peccato originale. Nasce con un modello di business sbagliato. Si pensava che chi offre il servizio potesse guadagnarci, ma in realtà non c’è un modello dietro. E l’identità è un servizio che in maniera naturale ci si aspetta che debba essere garantita dal pubblico, non pagata dai cittadini

 

Non c’era modo di renderlo profittevole per i fornitori?

Si poteva garantire casomai un modo per cui i privati venissero compensati: chi fa da erogatore dello Spid poteva avere concessioni, contratti o altre cose in base al numero di Spid attivati, ad esempio. Non è stato fatto: ci sono convenzioni complesse che non risolvono il problema di fondo, cioè il meccanismo di finanziamento. E adesso il nodo è arrivato al pettine

La CIE, la carta di identità elettronica, è un modello migliore di identità?

C’è un dualismo relativo al modo in cui funziona come strumento di identità la CIE, quello tra meccanismo digitale e quello di tradizionale a vista. La Carta di identità serve principalmente come strumento di autenticazione a vista: la devi avere in mano, c’è la foto, serve per farsi riconoscere nel mondo reale. Lo Spid invece era pensato fin dall’inizio per essere utilizzato per fare altre cose: gli accessi ai servizi.

Può avere senso un unico strumento?

I processi per la CIE sono complicati, a partire dall’autenticazione. Si, ha senso, ma anche no. Perché secondo me occorreva guardare più in alto: sta arrivando l’identità digitale europea, il cosiddetto eWallet. Tanto valeva aspettare le decisioni europee, capire come viene definito lo standard che avremo tutti e, se si deve fare una riforma, cogliere l’occasione dell’eWallet per razionalizzare e far convergere.

SPID

Lo SPID ha una storia particolare, ma anche la CIE: quali sono i possibili conflitti?

Più che conflitti direi che ci sono delle legittime contrapposizioni tra amministrazioni pubbliche. Lo Spid è nato all’interno della Presidenza del Consiglio, e ha lo scopo più che meritorio di facilitare la trasformazione digitale, con l’accesso ai servizi digitali reso semplice. La CIE invece nasce all’interno del Ministero degli Interni, che dal canto suo vuole giustamente il controllo sulla gestione dell’identità per mantenere sicurezza e ordine pubblico, cosa che fa parte dei suoi obiettivi naturali. C’è una concorrenza di fondo, quindi, che deve trovare una sintesi.

Ha senso chiudere lo SPID e passare alla CIE, quindi?

Lo Spid garantisce due livelli di autenticazione, dal punto di vista delle attività che possono essere fatte da parte di chi lo utilizza. Al terzo livello arriva la CIE. Bastano i primi due livelli per fare praticamente tutto quel che serve al cittadino: ci sono già tantissime applicazioni che lavorano con lo Spid e milioni di persone che lo hanno attivato.

Tanto valeva aspettare l’eWallet europeo e casomai cambiare a quel punto, oppure, se si deve fare una riforma adesso, bisogna essere sicuri che sia tutto compatibile già da oggi in modo che quando arriverà l’eWallet si tratti solo di un cambio di etichetta. Ma dal punto di vista tecnologico non sarà così.

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Infine, professore, a che punto siamo con la digitalizzazione? Strumenti come SPID e CIE aiutano davvero?

In realtà c’è un problema diverso, di fondo. Il punto è che non bisogna digitalizzare l’esistente, ad esempio i certificati, ma farli sparire. Il tema è quello dell’interoperabilità, sollevato da Bassanini nel Duemila. Ma siccome è un progetto difficile, nessuno lo vuol fare.

Qual è?

Faccio sempre un esempio: c’è un video su YouTube con il Presidente della Repubblica che ha scaricato il suo certificato anagrafico. È un video che dimostra che “si può fare”. Ma il punto è: perché devo scaricare un certificato? Un servizio è una cosa che serve: allora, a cosa serve a una persona sapere quando è nata, dove risiede, com’è fatta la sua famiglia? È perché i cittadini hanno bisogno di un momento di autocoscienza?

Certamente no! A cosa serve, allora?

Serve perché c’è un’altra amministrazione che vuole quelle informazioni e il cittadino deve fare da galoppino tra amministrazioni pubbliche. È questo che dovremmo ripensare: i processi, i flussi. Digitalizzare i documenti ma portare avanti i vecchi procedimenti non ha senso. Questa è la differenza tra digitalizzazione e trasformazione digitale: la prima prende quel che c’è e lo mette in digitale, la seconda cambia il modo con cui si fanno le cose. Noi dovremmo concentrarci di più sulla seconda.

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