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Apple University, essere Steve Jobs

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Trapianto di DNA. Quello virtuale, spirituale, il più importante. Se Apple è costruita a immagine e somiglianza di Steve Jobs, adesso che lui non c’è più, come fare ad andare avanti? Quale strada scegliere al bivio? Quale decisione avrebbe preso lui, insomma? La risposta è semplice, e l’ha trovata lo stesso Steve Jobs alcuni anni fa. Costruire una Apple University dove il fior fiore dei docenti delle business school americane sono stati reclutati per studiare il comportamento, il modo di pensare e la strategia di Steve Jobs, con il compito di insegnarlo ai manager che guidano e soprattutto quelli che guideranno Apple.

La storia viene raccontata dai giornali americani: Steve Jobs aveva pensato a un meccanismo del genere subito dopo la scoperta del suo tumore, alla fine del 2003. E aveva identificato il personaggio perfetto: Joel Podolny, preside-manager della business school di Yale che in poco tempo a 39 anni l’aveva portata al successo economico e di insegnamento. Nella carriera di un docente-manager americano il passo successivo sarebbe stato quello di diventare rettore di un ateneo anche molto prestigioso, e per questo Podolny in prima battuta aveva rifiutato l’invito di Jobs. Salvo poi accettarlo nel 2008, quando era chiaro che Steve Jobs era mortalmente serio sulla sua idea di fare qualcosa per Apple.

Si è molto dibattuto in passato e molto ancora di più adesso su come farà Apple a sopravvivere al suo co-fondatore. Certamente il genio dell’imprenditore nel capitalismo moderno è secondario rispetto all’azienda, altrimenti dovrebbero essere chiuse da tempo tutte le General Motors, le Ford, le Fiat e le Pirelli del pianeta. Tuttavia, qualcosa della sua strategia e della sua filosofia può essere tramandato. L’idea delle “Corporate University” aveva affascinato per quaranta e più anni il mondo delle grandi imprese americane, salvo poi arenarsi tra gli anni ottanta e novanta, quando la nascita del “capitalismo finanziario” aveva reso meno importante il modello del “capitalismo industriale”  e quindi la figura del manager che segue la filosofia aziendale. Inoltre, le corporate university diventavano rapidamente inutili rami secchi, che avevano come unico obiettivo quello di perpetuarsi e fare semplice formazione aziendale burocratizzata all’ennesima potenza. Un modello fallimentare che però Steve Jobs aveva deciso di seguire perché ne aveva percepito la potenzialità e aveva un’idea per innovarlo.

L’idea veniva dalla Pixar, dove era nata simmetricamente a Disney e alle altre grandi aziende di creatività, una “Pixar Academy” per insegnare ai giovani la filosofia, l’arte, lo stile, il pensiero dell’azienda. Insomma, a disegnare come si deve. Ecco, Jobs aveva intuito che nella Academy di Pixar c’era quella scintilla necessaria a creare un progetto simile per Apple, in cui però fosse la filosofia e l’arte di essere Jobs l’oggetto da tramandare. Anche Podolny, innamorato delle tecnologie di Apple e affascinato dal suo co-fondatore, si era fatto convincere che ci fosse qualcosa di giusto. Preso il posto di vicepresidente con ufficio tra quello di Jobs e quello di Tim Cook, ha iniziato a reclutare la crema dei docenti delle business school americane.

 Il risultato è questa scuola non più segreta, dentro le mura di Apple, che sta avviandosi adesso al suo compito più importante. Dopo aver studiato per tre anni Steve Jobs, adesso bisogna cominciare a insegnare quel che si è imparato. E, se è vero che ci sono progetti lasciati da Jobs per le prossime generazioni di apparecchi – si dice quattro anni di progetti e roadmap – forse un po’ più di serenità adesso c’è dalle parti di Apple.

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